venerdì 18 maggio 2012

L’Orientalismo in John Zorn: Forbidden Fruit, Torture Garden, Ganryu Island e Filmworks VII e New Traditions in East Asian Bar Bands (seconda parte) (4)




Abbiamo parlato prima di manga, di disegni, di fumetti giapponesi: pensare che la poetica di Zorn possa ridursi solo a immagini hentai significa avere la mente più ristretta di un buco di serratura.
New York, Shelley Palmer Studio, Ottobre 1988 Gennaio 1989 Zorn registra la colonna sonora del cartone animato giapponese Cynical Hysterie Hour che uscirà nel 1997 col titolo FilmWorks VII
Siamo nella seconda metà degli anni ’80, Zorn all’epoca passa ogni anno sei mesi a New York e sei mesi a Tokyo, dove ha ha un pied-a-terre. La disegnatrice giapponese Kiriko Kubo ha bisogno di aggiungere un commento sonoro a quattro episodi (di sette minuti l'uno) per la sua serie animata Cynical Histerie Hour. Zorn accetta la sua richiesta approfittando dell’occasione per cimentarsi con uno degli oggetti di studio della sua gioventu, la musica per cartoon, contenitore ideale di emozioni repentine e caos organizzato, omaggiando il suo idolo Carl Stalling.
Il risultato sono ventitre inserti musicali, la piu breve ("End Title") dura tredici secondi, la piu lunga (la deliziosa "Punk Rebel/Tsunta's Theme”) poco più di tre, per un totale di poco più di trentasei minuti, per un caleidoscopio di generi musicali, un capolavoro di impudente e apocalittico montaggio musicale che porta alle estreme conseguenze la lezione di Carl Stalling e in cui si stagliano gli stili inconfondibili dei chitarristi coinvolti: il casino ossessivo di Arto Lindsay, le sciabolate di Quine, i fraseggi jazz di Bill Friselle e gli arpeggi country mexican di Marc Ribot.
Zorn stesso va particolarmente fiero di questo gioiellino che lo vede impegnarsi (come già visto per Spillane) con la tecnica compositiva dei file cards, piccola nota: i diritti del disco erano di proprietà della Sony music, che lo aveva tenuto in catalogo solo per sei mesi e solo per il mercato nipponico. Solo nel 1997 Zorn riesce ad averne i diritti e a ristamparlo con la sua Tzadik.
Il cartone animato in questione sembra una versione giapponese di Peanuts, che parla di una giornata tipo di alcuni bambini: Tsuneko (il personaggio principale) sorride raramente ed è ossessionata dal cibo, non è per niente carina, ha gli occhi marcati come quelli di un panda ed è completamente calva eccetto per nove capelli che le spuntano dal cranio. Il fumetto è tuttavia divertente: una delle storie racconta di Tsuneko che si trova su pianeta dove la razza evoluta sono gli elefanti e gli umani totalmente scemi. Lo stile di Kubo si differenzia notevolmente da quello che siamo abituati a identificare come fumetto giapponese: niente occhi grandi e liquidi (ad imitazione dello stile Disney), niente lolite dai capelli colorati, niente criceti nevrotici, niente robot giganti volti a salvare il pianeta da perfidi alieni. Anche in questo caso siamo lontani da molti degli stereotipi a cui siamo abituati.

Con New Traditions in East Asian Bar Bands, Zorn raggiunge un nuovo limite: il suo “orientalismo”: si espande in paesi come la Cina, il Vietnam e la Korea, utilizzando delle voci narranti in queste lingue su un tappeto musicale predisposto ad hoc. Si tratta di tre lunghe composizioni assimilabili ai game pieces cui Zorn ci aveva abituati negli anni precedenti e composti tra il 1986 e il 1996, disco complesso in cui ogni brano viene accompagnato da una voce narrante orientale, mentre l'improvvisazione strumentale è affidata ad un duo.
“Hu Die” è un pezzo per due chitarre, ossia Fred Frith e Bill Frisell, assidui collaboratori del compositore. La narratrice parla in lingua mandarina, mentre i due esecutori si esercitano in prove avanguardistiche davvero notevoli, talvolta sensuali, talvolta misteriose. Ciò che infatti distingue nettamente questi game pieces dai precedenti è, oltre ad un suono più moderno, la scelta della formazione a duo, che permette una collaborazione più decisa e diretta tra gli esecutori; unita a un ascolto più fruibile e semplice rispetto agli episodi degli anni 80. Da notare che il testo è stato scritto da Arto Lindsay e comprensibile solo leggendo la versione inglese all’interno del raffinato booklet del cd. In questo caso il testo diventa puro suono, la lingua mandarina svolge la sua funzione narrante come se fosse uno strumento a fiato su un tappeto di atmosfere irreali, ipnotiche, a metà fra l'imperturbata quiete d'un paesaggio lunare e la desolazione di spogli scenari post-atomici.
Il secondo brano, “Hwang Chin-Ee”, è un travolgente duo di batterie (Samm Bennett e il mitico Joey Baron): la ritmica vigorosa e pirotecnica ci trasporta per un quarto d'ora nell'Asia dell'est primordiale, assieme ai modesti interventi di una narratrice koreana. I due percussionisti comunicano tra loro con la stessa versatilità dei chitarristi, rendendo questo pezzo estremamente il emozionante. Su quest’orgia di percussioni la voce piana e narante di …
L'ultima imponente suite di 30 minuti viene infine eseguita da due giganti dell'arte tastieristica, Wayne Horvitz ed Anthony Coleman. Le loro cupe divagazioni sono accompagnate da una narratrice vietnamita, che con i suoi sussurri contribuisce a rendere il brano ancora più oscuro e inquietante, al pari di “Absinthe” dei Naked City.
L’elemento “musicale” esotico in questo album è dato dai testi declamati in lingua mandarina, koreana e vietnamita, la lingua diventa suono e a sua volta diventa musica, diversamente da Ganryu Island qui non c’è nessun altro elemento che possa ricondurre all’oriente. Musicisti e strumentazione sono occidentali. Ben diverso invece il discorso sulle caratteristiche visive del disco: il packaging è sempre accuratissimo e dal design elegante e raffinato, ciascun pezzo ha il suo leaflet con elementi chiaramenti asiatici ma senza alcun punto di contatto con l’artwork prevista dai Naked City o i Painkiller e la cosa non deve stupire dato che si trata di musiche completamente diverse.

Conclusione

Mi sembra piuttosto evidente che Zorn abbia una buona comprensione della cultura contemporanea asiatica e giapponese in particolare e che, coerentemente con quelli che sono i presupposti postmoderni di base della sua musica, utilizzi questi vari elementi culturali come ingredienti per la propria arte esattamente come fa utilizzando elementi più occidentali come la cartoon music, il free jazz, il grincore e altro. Allo stesso tempo mi sentirei di escludere una sua forma maniacale verso la coercizione e la sottomissione delle donne asiatiche. Di sicuro Zorn non si fa nessun problema se deve infrangere tabù culturali esotici stratificati da chi si occupa accademicamente di orientalismo, e non nasconde una sua notevole capacità di saper gestire e manipolare l’attenzione dei media, sfruttando, come hanno fattoe fanno altri artisti contemporanei, a proprio vantaggio lo stravoglimento di luoghi comuni culturali. Alla fine, comunque, resta sempre la musica e in questo campo Zorn si dimostra sempre ad altissimi livelli creativi, sicuramente non facilmente comprensibili ma altrettanto affascinanti.

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