giovedì 17 maggio 2012

L’Orientalismo in John Zorn: Forbidden Fruit, Torture Garden, Ganryu Island e Filmworks VII e New Traditions in East Asian Bar Bands (seconda parte) (3)





I due musicisti in questione sono, ovviamente, John Zorn e Sato Michihiro, virtuoso di shamisen.
A questo punto concediamoci una digressione per parlare di questo strumento tradizionale giapponese. Con questo termine, forse enigmatico per molti, si indica uno strumento giapponese a tre corde dal manico molto allungato, con cassa di forma rotondeggiante spesso ricoperta di pelle di serpente; simbolo della cultura musicale giapponese, esso è in realtà nipponico solo per adozione, dal momento che si ritiene sia originario dell'Asia Centrale, e comunque fu importato dalla Cina (questo è storicamente provato) solo fra XV e XVI secolo. Largamente impiegato nell'ambito del teatro "kabuki", l'apprendimento della sua tecnica esecutiva costituiva materia di studio per le aspiranti "geishe", che se ne servivano a scopo di intrattenimento. La particolarità di questo strumento sta nel fatto che in esso siano compresenti (direi anzi complementari) un'anima "melodica" ed una più propriamente "percussiva": si pùò suonare pizzicandone le corde come si farebbe con un contrabbasso, ma anche facendo cozzare il plettro (che i Giapponesi chiamano "bachi") contro la cassa di risonanza.
Lo shamisen _e chiamato ufficialmente sangen [tre corde]. Tra gli strumenti musicali della
musica tradizionale giapponese, mentre il so è rappresentativo della famiglia della cetra, lo
shamisen non solo è rappresentativo della famiglia del liuto ma si può dire senza esagerare che sia lo strumento musicale rappresentativo di tutta la musica tradizionale nel suo complesso.
La teoria generalmente accreditata a proposito dell'introduzione dello shamisen è che il sangen cinese sia stato importato in Giappone alla fine del periodo Muromachi passando per Okinawa. A Okinawa lo strumento era costruito utilizzando pelle di serpente (e per questo motivo veniva chiamato jabisen7) e veniva suonato toccando le corde con le dita. Dopo che fu introdotto in Giappone vennero operate modifiche di diverso tipo: si usò pelle di gatto o di cane al posto del serpente, si cominciò a suonarlo usando un bachi [plettro] e furono anche apportate alcune modifiche alla forma. Tra queste trasformazioni la più notevole è data dal fatto che si cominciò a suonarlo con il plettro; ciò fu causato dal fatto che, dopo l'importazione dello shamisen, i primi a usare lo strumento furono biwa hoshi che lo suonavano in modo simile al biwa .
Non appena lo shamisen fu importato cominciò ad essere usato nel jiuta e nel joruri; all'inizio dell'epoca Edo si cominciò poi a usarlo in vari campi della musica tradizionale giapponese dell'epoca moderna. Di conseguenza a seconda del campo in cui era impiegato lo strumento venne a poco a poco ad assumere forme differenti che possono essere in linea di massima divise in tre tipi: futozao [a manico spesso] (usato nel gidayubushi e nel sekkyobushi), chuzao [a manico medio] (usato nel jiuta, tokiwazubushi, tomimotobushi, kiyomotobushi, shinnaibushi ecc.) e hosozao [a manico sottile] (usato nel nagauta, sokyoku di scuola Yamada, hauta, kouta, katobushi ecc.); in seguito nacquero ulteriori differenziazioni anche all'interno dei chuzao e degli hosozao.
Lo shamisen è senza dubbio uno strumento a corda, ma in generi musicali come il nagauta lo si suona facendo battere il bachi sul bachigawa8 e nel gidayubushi si colpisce con forza la pelle della cassa armonica con il bachi, producendo effetti simili a quello di uno strumento a percussione.
Quanto di più diverso e lontano dal sax di Zorn.
E’ quindi facile intuire come dietro alla semplice musica in questo disco (dall’ascolto sicuramente complesso) ci sia una struttura e delle relazioni più profonde, Zorn e Michihiro (come Mushashi e koijro) rappresentano due punti di vista corrispondenti ad altrettante visioni di una "materia" musicale profonda, unica e universale.
Abbiamo già visto come lo stesso Zorn ami sottolineare quanto le distinzioni fra generi e relative categorie non siano altro che attributi accessori di quella che è la "struttura superficiale" ("surface structure") della musica, mentre tutte le musiche, indipendentemente dalla loro collocazione stilistica e storico-geografica, mantengono punti di reciproco contatto in quanto a "struttura profonda" ("deep structure"): solo il musicista capace di cogliere i nessi a livello di struttura profonda è in grado di esprimere un discorso musicale coerentemente "avanguardistico", nel senso più letterale del termine. Osservare le forme musicali da una simile prospettiva significa soprattutto saper abbracciare più esperienze dall'alto di un invidiabile approccio "totalizzante", privo di confini o limitazioni di sorta, lontano da un'impostazione rigorosamente (e tradizionalmente) "puristica".
La scelta di suonare con Sato Michihiro, tra i massimi interpreti contemporanei dello "shamisen", è quindi perfettamente coerente con questa visione, il fatto poi che lo stesso Michihiro stesse in quel periodo sperimentando una nuova tecnica esecutiva in cui largo spazio avevano stilemi ("patterns" in gergo tecnico) di matrice Jazzistica, mutuati dalle tecniche improvvisative di certa cultura musicale afro-americana non deve ulteriormente sorprendere. Ganjuro Island non è stato suonato e registrato a caso e nessuna nota è “piovuta dal cielo”: non è raro, nell'album in questione, ascoltare lo "shamisen" impegnato a districarsi fra passaggi armonici tipici del Blues e del Jazz modale, nel contesto di un'improvvisazione profondamente "umorale" in cui ben poco è preliminarmente pianificato. Spicca, all'ascolto, la varietà timbrica di un John Zorn comunque interessato ad esplorare soprattutto i registri acuti di sax e clarinetto, con particolare predilezione per dissonanze e sonorità difficili, spigolose, bizzarre, capaci di insinuarsi a mo' di sordo e prolungato lamento tra i fraseggi di Michihiro. L'atmosfera generale è però lungi dal risultare freddamente accademica, dal momento che ovunque si respira la leggerezza, la velata auto-ironia di un duetto confidenziale, del tutto informale; in questo approccio auto-ironico ed anti-intellettualista si inseriscono i curiosi suoni-versi inseriti qua e là da Zorn: miagolii, cinguettii, gorgheggi, esilaranti mugugni di "zappiana" memoria. E particolare rilievo merita, in questo singolare capitolo di dissacrante poetica della creatività, il ruolo attribuito ai silenzi, alle pause, alle sospensioni, ai "tempi morti" che sono parte costitutiva della narrazione.
L'estetica del disco è poi quanto di più giapponese ci si possa aspettare con la cover tratta da un fotogramma e il retro che ospita un dipinto del combattimento stesso: niente bondage, niente donne torturate.

continua domani

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