giovedì 30 giugno 2011

Laboratorio di Improvvisazione Pablo Montagne

Intervista a Sergio Sorrentino per AlchEmistica, quarta parte


Approfondiamo un po’ il discorso sull’improvvisazione, tema a me molto caro: Derek Bailey era alla disperata ricerca di una improvvisazione non “idiomatica”, di un qualcosa assolutamente lontano da qualsiasi altro linguaggio o base musicale esistente; alla fine anche il suo modo di improvvisare è diventato un marchio di fabbrica, il suo stile… come definiresti il tuo stile?

Il mio stile è onnivoro, ma altamente influenzato dalla musica d'arte contemporanea. Quando improvviso cerco sempre l'unità formale, la permutazione degli elementi che scelgo man mano per le mie improvvisazioni. Non che prepari a tavolino la performance, questo no, ma cerco sempre di ispirarmi a qualcosa (un suono, una suggestione poetica, grafica), per dare contenuto alla mia musica. Questo contenuto, se vogliamo è assolutamente “non idiomatico” in quanto non si riferisce ad uno stile in particolare. Sono affascinato dall'estetica della dicotomia, degli opposti. Mi piace unire Maderna al blues, Bailey ai modi popolari, gli accordi jazz alle decostruzione intervallare alla Webern, la sperimentazione elettroacustica alla chitarra metal.
In qualità di chitarrista sperimentale, i miei musicisti preferiti (oltre ai compositori d'avanguardia) sono Ambarchi, Frith, Bailey, Russell, Mota, Zorn, Stevens, Stangl, Rowe.
Ma cerco assolutamente di avere una mia voce, unica. Questa ricerca è per me la cosa fondamentale.

Nel 1968 Derek Bailey chiese a Steve Lacy di definire in 15 secondi la differenza tra improvvisazione e composizione. La risposta fu “In 15 secondi la differenza tra composizione e improvvisazione è che nella composizione uno ha tutto il tempo di decidere che cosa dire in 15 secondi, mentre nell’improvvisazione uno ha 15 secondi” .. la risposta di Lacy era troppo ironica o corrisponde a verità?

Lacy era un genio (come Bailey, del resto). E come tutti i geni aveva il dono della sintesi e della pregnanza. Non poteva descrivere meglio l'essenza dell'improvvisare, atto filosofico, prima che musicale.
L'improvvisazione è l'atto del subito, dell'hic et nunc. E' la celebrazione della libertà creativa, contro tutti i dogmatismi e i paletti accademici.

Nel corso della tua ultima intervista avevi diversi progetti in corso e cantieri aperti .. come sta procedendo al tua carriera e, più in generale, come vedi la situazione che stiamo attraversando, secondo te la crisi attuale come sta influendo e influirà sulla musica, non solo in termini economici ma anche stilistici, la cupa e depressa New York della fine anni ’70 riuscì in quei brutti periodi a generare musiche innovative che ancora adesso ci stanno influenzando .. come stanno reagendo gli artisti a questi anni difficili?

A breve usciranno diversi progetti discografici solistici, sia con la chitarra classica che con l'elettrica. Uscirà inoltre il primo disco con il Trio Sorrentino-Telandro-Sigurtà. Di Sigurtà ho parlato già in precedenza ma mi preme dire qualcosa anche su Simone Telandro. E' un musicista formidabile, attento ai particolari, instancabile studioso dello strumento. Ascoltando la sua tromba viene voglia subito di prendere carta e penna e comporre qualcosa per lo strumento.
Suonare e creare musica con loro è un vero privilegio.

Usciranno articoli, saggi e registrazioni per importanti case editrici ed alcune riviste specializzate; le edizioni Rugginenti pubblicheranno presto la partitura del mio “De Citharae Natura” per chitarra sola.
Ma più che altro sono preso da varie situazioni concertistiche, tra le altre, a Lagonegro, della quale ti parlavo prima, a Brescia dove in ottobre terrò un concerto ed una master class all'Accademia della Chitarra (dove eseguirò, tra le altre cose, la Sequenza di Berio), e tornerò in Lussemburgo per un giro di concerti.

La mia carriera procede nel segno della curiosità, dell'approcciarsi a mondi inesplorati, della coerenza ispirativa. Non cedo a facili operazioni commerciali, la mia musica deve essere sempre sincera e provenire dal profondo.
Ricevo continui apprezzamenti dal pubblico e da importanti interpreti e compositori. Ciò mi dice che la strada è quella giusta.

Per quanto riguarda la crisi, beh, la New York degli anni Settanta è un valido esempio di come si possa creare della buona musica, lontana da logiche commerciali, anche con pochi mezzi.
L'ideale è non scoraggiarsi e fare sempre le cose che più ci piacciono. Entusiasmarsi (senza cullarsi troppo) di fronte a complimenti anche importanti, e non piangersi addosso dinanzi a stroncature.
La musica deve essere la nostra vita, altrimenti noi musicisti non siamo credibili. Il canale per promuovere la nostra musica bene o male si trova, basta crederci e lavorare sodo.
E' quello che sto facendo...

mercoledì 29 giugno 2011

Intervista a Sergio Sorrentino per AlchEmistica, terza parte


La tua release è stata registrata in momenti diversi da Luigi Pisanti Music Zone (tracks 1-8), Andrea Ferraris (tracks 3-4-6), Sergio Scusello (tracks 2-5-7) e masterizzata da Andrew McKenna Lee, a Brooklyn, New York City. Come mai la registrazione in luoghi e momenti diversi e come mai la scelta di New York per la masterizzazione?

Per Alchemistica desideravo una release più diretta e varia possibile, che facesse conoscere al pubblico le mie diverse anime di musicista. Ed ho quindi deciso di registrare in luoghi e momenti diversi, proprio per captare eventi irripetibili, che si differenziassero l'uno dall'altro anche in virtù dell'acustica, della situazione e della compagnia del luogo.
Ho quindi registrato un Prologo ed un Epilogo dal mio amico e bravissimo fonico Luigi Pisanti nella mia terra madre, il Vallo di Diano, in Campania. Adesso abito a Novara, ma appena posso torno a rivivere i profumi ed i suoni della mia terra. In una di queste occasioni ho registrato le due impro in questione.
Le impro “elettriche” le ho registrate in diretta (utilizzando alcuni effetti ed una loop station) nell'aula dove tengo lezioni di chitarra ed improvvisazione all'Istituto Musicale Vallotti di Vercelli. Il fonico (molto promettente) è un mio allievo chitarrista nonché ingegnere informatico Andrea Ferraris. Colgo l'occasione per ringraziarlo dell'ottimo lavoro svolto e con lui per ringraziare tutti i miei allievi, dai quali io per primo imparo tantissimo. Volevo per le impro elettriche una dimensione “quotidiana” e domestica, quindi quale cosa migliore che registrarla nei momenti liberi durante le pause dall'insegnamento?
Sergio Scusello è un eccellente pianista (dedito alla musica di Bartok ed Arvo Part, ad esempio), competente anche di registrazione sonora. Gentilmente ha ripreso alcune mie impro all'interno della Chiesa di Cigliano, in provincia di Vercelli, che gode di un'acustica eterea, mistica.
Andrew McKenna Lee è invece un eccellente chitarrista compositore (ha studiato alla Manhattan School ed a Princeton) esperto di musica elettronica. Cura ormai da tempo il mastering di quasi tutte le mie produzioni discografiche, anche e soprattutto di quelle ancora inedite ma che saranno pubblicate presto. Non nego che comunque, a prescindere dal rapporto di amicizia tra me e lui, mi intrigava l'idea di effettuare il mastering a New York, scenario fondamentale della musica sperimentale.
Andrew in più mi ha dedicato un bellissimo brano per chitarra sola (“Curio”). Il brano fa parte di un più ampio progetto che vede molti importanti compositori (Mark DelPriora, Marcela Pavia, Andrea Talmelli, Carla Rebora, Rossella Spinosa, Lorenzo Tomio, Francesco Maggio, Massimo Munari, ed appunto Andrew McKenna Lee) scrivere per me dei brani di ricerca ispirati a cellule di canti popolari del Vallo di Diano e della Lucania. La prima esecuzione delle opere avverrà in occasione di un mio concerto al prossimo Festival Internazionale della Chitarra di Lagonegro, ad agosto. In quell'occasione eseguirò anche una mia composizione (“Enigma”) scritta per il progetto.

Il quinto brano si intitola “Hommage à Maderna”, come mai questo omaggio al grande compositore e direttore d’orchestra veneziano? Sempre restando nell’ambito dell’improvvisazione hai mai suonato la sua Serenata per un satellite?

Maderna è uno dei miei compositori preferiti. La sua musica (non solo per chitarra) è per me fonte continua di ispirazione. La impro in questione è basata su mie rielaborazioni estemporanee su di un canovaccio da me preparato di cellule derivanti da “Y después”, splendido brano per chitarra a dieci corde del compositore veneziano.
Suono spesso in concerto la Serenata per un Satellite e la propongo spesso per studio anche ai miei allievi. E' un brano veramente unico. L'ho anche incisa. Spero presto, uscirà un disco tutto dedicato alla Nuova Musica per chitarra. Al suo interno ci sarà anche la Serenata.

continua domani ...

martedì 28 giugno 2011

Intervista a Sergio Sorrentino per AlchEmistica, seconda parte


Nella precedente intervista parlando di improvvisazione dicevi che “L'improvvisazione è l'essenza della musica. Anche quando crediamo di aver pianificato tutti gli aspetti interpretativi riguardanti l'esecuzione di un brano, esiste sempre un margine di un improvvisazione. Per la mia ricerca l'improvvisazione costituisce un elemento cardine. La mia poetica interpretativa e musicale si basa sulla creatività e sull'aspetto ludico del fare musica.” Credo che con il tuo Guitar Improvisation Project tu abbia proprio voluto “mettere le carte in tavola”: sono otto brani, un vero e proprio ciclo musicale che inizia con un “Prologo” e finisce con un “Epilogo”, otto pezzi lavorati con la chitarra elettrica e con la classica, ce ne vuoi parlare?

Il ciclo musicale è se vogliamo una summa (sebbene parziale) del mio fare musica improvvisando con la chitarra. All'interno della release ci sono brani ispirati al mondo della musica d'arte contemporanea dal quale provengo, improvvisazioni elettriche, tabletop guitar, ambientazioni classiche con il reverbero naturale di una chiesa, accenni di vari stili. Si tratta di libere improvvisazioni, che inconsciamente rispecchiano il mio background e la mia anima sonora.
Volevo proporre al pubblico di Alchemistica una release quanto più esplicativa dei miei diversi approcci alla musica.
L'ispirazione risiede semplicemente nella ricerca timbrica, nel suono chitarristico impiegato tramite le sue forme più diverse e nella ricerca di una dimensione “altra”, trascendentale.
Dopo il “Prologo” (vagamente ed inconsciamente ispirato a Berio), in “Dots” esploro il suono chitarristico con dei punti sonori, una sorta di ritratto puntillista dello strumento.
In “Alchemistica” rendo omaggio alla vostra label ed all'alchimia di stili diversi e di tecniche innovative che si può ottenere semplicemente improvvisando liberamente con la chitarra.
“Bells in a foggy landscape” è una mia esplorazione nel campo dell'elettroacustica, dove impiego la “preparazione” della chitarra.
“Hommage à Maderna” è una impro basata sul materiale compositivo di “Y Despues” di Maderna.
“Solo with rain” è un'esperienza elettrica, dove lo strumento evoca più che imitare.
In “Touch” ho voluto porre l'accento sulla bellezza del tocco chitarristico.
L'Epilogo finale riprende il materiale del “Prologo”, sviluppandosi però su di un canto più grave e pensoso.

Mi ha colpito il fatto che tu abbia usato una elettrica, sembra che tu abbia fatto una specie di scelta “stilistica” utilizzandola per le improvvisazioni o comunque per “marcare” un suono decisamente più contemporaneo e moderno …

Oltre alla mia ricerca in campo classico, ho sempre suonato la chitarra elettrica. Sono un patito del blues e di Clapton. Per acquistare la mia attuale chitarra classica da concerto vendetti però la Stratocaster (una “blackie”). Quando poi ho scoperto che i molti compositori di oggi scrivono maggiormente per chitarra elettrica, e sono venuto in contatto con il mondo della sperimentazione e dell'improvvisazione, ho subito acquistato una nuova chitarra elettrica e i vari pedalini. Fino a diventare, adesso, un musicista multiforme, classico ed elettrico.
Quando improvviso con l'elettrica miro ad uno stile diretto, impiego una tecnica mista (plettro e dita), cerco di sfruttare secondo la mia estetica le bellissime possibilità timbriche dello strumento anche trasferendo su di essa le conquiste tecnico-formali della chitarra classica.
Impiego poi, in alcuni casi, lo strumento in qualità di fonte sonora (tabletop guitar) per sperimentazioni elettroacustiche, anche tramite oggetti e la preparazione della chitarra.
Verso quest'ultima dimensione mi ha spinto il mio amico Luca Sigurtà (uno dei musicisti più in vista nel campo della musica elettroacustica e concreta). Eravamo in aeroporto, di ritorno da un mini tour in Lussemburgo, quando Luca mi invitò a dedicarmi alla sperimentazione elettroacustica, intravedendo in me delle potenzialità in quel campo. Gliene sarò sempre grato.

continua domani ..

lunedì 27 giugno 2011

Intervista a Sergio Sorrentino per AlchEmistica, prima parte


Caro Sergio questa è la seconda volta che facciamo due “chiacchiere” assieme. La prima volta abbiamo fatto una intervista un po’ .. in generale sulla tua figura di uomo e di musicista .. ora siamo qui per il tuo nuovo lavoro, il Guitar Improvisation Project con Alchimistica. Come è nata l’idea di questo lavoro e come mai la scelta della nostra netlabel?

In parallelo alla mia attività di interprete e compositore di musica contemporanea scritta, porto avanti sempre le mie esperienze legate all'improvvisazione. I miei concerti solistici di improvvisazione (spesso con l'elettrica) e la mia collaborazione con il trio Sorrentino-Telandro-Sigurtà (chitarra, tromba, elettronica), mi conducono ad una sempre più approfondita ricerca su questa particolare attitudine musicale.
L'idea di pubblicare su internet ed in particolare per la vostra bellissima realtà (che tanto aiuta noi musicisti sperimentali ad avere un ulteriore e importante contatto con gli ascoltatori) una scelta di alcune mie improvvisazioni è figlia di queste esperienze.


Ti ringrazio delle belle parole. L'idea di creare una nuova versione dell'Inno è nata come reazione all'atmosfera di esasperata retorica che si respirava a marzo e che si avverte tuttora. Volevo riportare le note dell'Inno ad una dimensione più vera, che si sposasse bene con la modernità (e quindi ripulirla di conservatorismi) e con i valori di sacrificio e liberazione dei combattenti del Risorgimento. Sebbene io abbia una visione politica poco nazionalista (anzi, direi estremamente cosmopolita), volevo creare una versione profondamente vicina alla sofferenza di chi diede la vita in nome di un ideale unitario e di cambiamento, accomunandoli a chi nei nostri giorni sacrifica la propria esistenza al lavoro, ai suoi ideali, alla solidarietà, alla lotta contro le ingiustizie.
La scelta della chitarra elettrica deriva dall'enorme esempio della versione dell'Inno americano a Woodstock di Jimi Hendrix. Sebbene la mia chitarra rimanga sempre in clean e disegni delle variazioni lineari legate alla musica d'avanguardia, il primo riferimento estetico non poteva che derivare da Hendrix.
Le “interferenze” che creo con la chitarra e con il drone elettroacustico che sfrutta la distorsione del segnale ed il ronzio dell'ampli, stanno a simboleggiare una voce “fuori dal coro”, un canto ed un suono “alter” che si muove vivaddio oltre il marasma della retorica.

continua domani ..

domenica 26 giugno 2011

Guitar Improvisation Project by Sergio Sorrentino su AlchEmistica




Di ritorno dopo il suo “Impro - Interferenza sull' Inno Nazionale” uscito il 17 marzo su AlchEmistica, Sergio Sorrentino partecipa al Guitar Improvisation Project con un lavoro sofisticato e articolato in ben otto tracce che lo vedono suonare sia la chitarra elettrica che la classica.
Sergio firma quindi la nostra sesta uscita per improvvisazioni chitarristiche dimostrando come questa forma musicale stia lentamente ma irresistibilmente conquistando ormai anche ambiti che finora le erano alieni come la musica classica e la contemporanea.
Musica cinematica, fluida, coinvolgente e allo stesso tempo interessante, innovativa proiettata nel presente ma con un forte legame col passato come dimostra l' ”Hommage à Maderna”.
A noi resta il grande piacere di continuare nel nostro lavoro di proposta e di presentazione di musiche e di musicisti innovativi, a voi la possibilità di ascoltarli mentre ci presentano il loro mondo, fatto di note, di silenzi, di atmosfere. Grazie Sergio.



1) Prologo
2) Dots
3) Alchemistica
4) Bells in a foggy landscape
5) Hommage à Maderna
6) Solo with rain
7) Touch
8) Epilogo

Recorded in Italy by Luigi Pisanti Music Zone (tracks 1-8), Andrea Ferraris (tracks 3-4-6), Sergio Scusello (tracks 2-5-7).

Mastering by Andrew McKenna Lee, Brooklyn, New York City (tracks 1-8).

sabato 25 giugno 2011

Reincarnazione


Reincarnazione
Ho ingrandito, per caso, una foto delle molte che ho trovato cercando in Internet,
fotografie d'epoca con donne suonatrici di mandolino.
Una collezione "virtuale" - non ne possiedo nemmeno una concretamente.
La maggior parte le ho trovate in un forum dall'equivocabile titolo "donna col
mandolino" in inglese suona diverso "woman with mandolin": è meno "porno".
La foto è fortemente nera: bianco e nera su sfondo nero, cornice nera, il vestito
nero della donna molto accollato è con maniche lunghe, ha i capelli scuri raccolti,
spicca il viso luminoso e le mani chiare che abbracciano la tastiera e le corde del
mandolino. Un lieve sorriso di serenità le incornicia il volto dalla fronte spaziosa, lo
sguardo diretto nella macchina fotografica la cristallizza in un infinito, come la
citazione leonardesca a cui inevitabilmente rimanda. La cornice in rilievo su
cartoncino nero, appena percettibile, la imprigiona tra l'infinito che ha d'innanzi e la
realtà dello scatto fotografico che l'ha sorpresa.
In un primo momento avevo raccolto queste fotografie in un formato troppo piccolo
per distinguerne i volti e l'ingrandimento sgranato era peggio.
Ho rifatto il lavoro - per caso ho trovato il modo di averle molto più grandi: la
somiglianza con la donna che ho descritto mi lascia senza fiato. Sono io, al punto
tale che ho messo come titolo al posto della sigla "attachament 1 jpg" "io con i
capelli in su".
Ho subito pensato che sono già morta ed è stato tutto molto semplice; mi ritrovo tra le mani anche lo stesso strumento.
Il mistero è: come ho fatto a rifare quello che ho già fatto?

Cartoline in-spedibili



Città: Alessandria
Data: Belle Epoque
Musiche: Ettore ed Ermenegildo Carosio
Strumenti: mandolino, mandola e chitarra
Esecutori Dora Filippone, Alessio Nebiolo, Elena Parasacco
Ideazione e testi: Dora Filippone

Affidare ad una cartolina non solo immagini e testo, ma anche musica, è un'idea del tutto nuova per trasmettere al pubblico il senso di un'epoca lontana da noi e restituirla immediatamente alla realtà.
Bastano pochi ingredienti un'immagine, qualche parola e la musica: sono cartoline sonore quindi in-spedibili.
Perché la cartolina? La prima cartolina viene inventata nel 1869 come nuovo oggetto postale per sostituire le lettere a tariffa più onerosa. Veloce, immediata era quello, che oggi per noi del terzo millennio, è l'immagine nel Web.
Il soggetto delle cartoline è "donne che suonano il mandolino": una raccolta d'immagini - sono quasi un centinaio - indissolubilmente legate alla figura femminile di fine del secolo, messaggera o destinataria del messaggio d'amore. Lo strumento delle serenate passa in una sorta di insospettata rivoluzione femminista, dalle mani maschili a quelle femminili; ma la donna dea ambigua, da amata ispiratrice della serenata è sorpresa dallo scatto fotografico, assorta: contempla un suo pensiero privato ed intimo, una riflessione spesso disincantata sul tema dell'amore e della coppia.
Ho voluto restituire a questa donna le parole che poteva solo pensare all'epoca, ma non poteva per via di convenzioni sociali ancora molto forti e ben radicate, manifestare apertamente. L'uomo perenne Don Giovanni canta il suo amore in migliaia di pezzi dedicati - lo dichiara il titolo del brano - al momento, non poi tanto sublimato, dell'amore: baci roventi, t'ho sognata, rimpianto, cose lecite e poi Brunetta, Gemma, Alice ecc
L'amata ascolta ma medita disincantata, non è più l'eroina immortale dell'Amore con la A maiuscola, sa bene che non è la sola, non è più l'unica; lei pensa all'amore lui alla passione, lei vorrebbe la sua anima, lui vuole il suo corpo. La lettura attenta di alcune opere teatrali di autori francesi ambientate nella società parigina dell'epoca, ci restituisce un'immagine ironica e divertente, anche un po sacrilega della passione e della società della Belle Epoque. Il punto di forza di quell'epoca è che uomini, donne, artisti hanno il pregio di essere molto meno puritani e di ironizzare sulle debolezze dell'animo umano con leggerezza, regalandoci pagine di rara bellezza e poesia con un avvertimento: nulla è eterno!

Il pubblico destinatario di "Cartoline in-spedibili" da passivo diventa attivo ed è anche la mia risposta alla noia del CD come oggetto, che oggi il Web mette anche a dura prova: cartoline abbinabili ciascuna a mini CD, scelti esclusivamente dal pubblico con incisa una selezione straordinaria delle musiche dei fratelli Carosio, alessandrini ed instancabili animatori della vita musicale non solo di Alessandria. Ermenegildo addirittura precursore del jazz italiano, infaticabile promotore culturale fondatore della rivista musicale "Il Mandolino" con cui pubblica centinaia di pezzi non solo suoi ma di altri musicisti coetanei.
Tutto questo oggi non esiste, non è oggetto di studio: un epoca così ricca spazzata via con brutalità, da un gesto di disinteresse, solo figlio dell'ignoranza.
Troppo giovani i compositori di quell'epoca, - la Belle Epoque - per affidare la loro musica dichiaratamente "leggera" (sono quasi tutti ballabili) ai dischi che non esistevano ancora come oggetto commerciale su larga scala, e poi troppo vecchi quando la musica diventa "oggetto" - il disco - ed esplode in tutto il mondo l'industria discografica.
Restituire al presente, musica oggi sconosciuta, unita ad un oggetto artistico a basso costo che può essere regalato, raccolto, dedicato - ha una multifunzionalità intrinseca -. Non è poco il lavoro di ricerca e catalogazione fatto, che volutamente non appare in questo oggetto, senza perdere l'energia e la vitalità del passato proiettato nel presente. Un oggetto nuovo ed insolito, rivolto ad un pubblico che troppo spesso viene relegato alla noia ed addomesticato dalla quotidianità per la mancanza di idee innovative in un mercato che pensa troppo spesso alla tecnologia "tou-court" e poco al contenuto.

Dora Filippone

Intervista a Dora Filippone, quinta parte


Con chi le piacerebbe suonare e chi le piacerebbe suonare? Quali sono i suoi prossimi progetti? Su cosa sta lavorando?

Ho da anni alcuni progetti ai quali lavoro in modo continuativo a prescindere dalla visibilità che in questo momento hanno nel mondo della chitarra, ma vivono di musica e resistono alle mode. Credo che essendo il "sentimento" e non il calcolo la cifra stilistica del mio essere musicista, ci sarà un momento in cui tutto quello che ho fatto e continuo a fare avrà il suo giusto peso e la sua giusta visibilità. Posso dire che in questi anni di navigazione ho incontrato molti musicisti alcuni più onesti altri molto meno, per mia natura so aspettare e lavorare con pazienza. Dopo trent'anni d'insegnamento continuativo esclusivamente in Conservatorio posso poter dire che ho elaborato, grazie a tutte le persone che ho incontrato in questo lungo tempo, un progetto che si sviluppa su un nuovo modo di rapportarsi con la chitarra e la musica, grazie anche alla mia esperienza di musicista estremamente varia e senza pregiudizi di fondo. Si chiama "Guitare actuelle" e non temo concorrenze sleali, in quanto mi appartiene ed è così intimamente legato alla mia cultura, alla mia sensibilità e al mio fare che non è copiabile. In questo senso mi sento una "stilista", ho il mio stile inconfondibile, la mia ricerca: amo insegnare, mi interessa e mi stimolano le persone che incontro e il rapporto che riusciamo a costruire nel rispetto della persona. Mi interessano sia i talenti che il loro contrario, la miglior soddisfazione nasce dal saper insegnare e trasmettere amore per la musica anche all'allievo meno dotato, perché sono le sue rinunce o le sue difficoltà che affinano la mia abilità oltre ad una mia disponibilità innata a svolgere questo mestiere. Da trent'anni pratico la didattica collettiva che non è lezione di gruppo, è un modo diverso di organizzare i rapporti e di mettere in relazione con la musica e lo strumento le persone che hanno capacità diverse e attitudini diverse. Inoltre con Guitare actuelle si vuole dare avvio ad una riflessione sulle possibilità di estensione delle pratiche strumentali - chitarra classica, chitarra acustica ed elettrica, chitarra jazz, ecc, - coinvolgendo anche altri strumenti affini quali liuto, arciliuto, mandolino, chitarra dell'800, dimostrando che la chitarra è uno strumento versatile, fonte di opportunità e che puntando su questa sua peculiarità si può essere non solo innovativi, ma conquistare attenzione nel mondo musicale.

Su questa intercambiabilità e nel saper suonare più di uno strumento ho costruito la mia carriera ed i gruppi che ho fondato. Dopo aver fondato l'Ensemble Antidogma Musica e diretto per vent'anni il Festival omonimo dedicato in prevalenza alla Musica contemporanea ora continuo con:

-il PPPianissimo Guitar Ensemble formazione con più chitarre con la quale da due anni abbiamo uno scambio con il Conservatoire de Musique di Ginevra con la classe di Alessio Nebiolo ed il Conservatorio "Vivaldi" di Alessandria

-il quartetto di chitarre FFFortissimo Guitar Ensemble cui partecipa Pino Russo noto jazzista.

-il duo con Alessio Nebiolo con brani inediti dei primi '900 legati ai fratelli Carosio compositori alessandrini della Belle Epoque che hanno scritto moltissimi brani per chitarra, 2 chitarre, chitarra e mandolino (alterno la chitarra ed il mandolino in concerto) in un concerto multimediale con proiezioni di filmati d'epoca che ha riscosso molto successo sia in Francia che in Italia.

- il "Concerto delle Dame" una formazione al femminile, che si occupa di rari ed inediti del '700 italiano per mandolino/chitarra, flauto, clavicembalo e voce con esecuzione principalmente su strumenti originali e copie d'epoca.







Ultima domanda, proviamo a voltare verso la musica le tre domande di J.P.Sartre verso la letteratura: Perché si fa musica? E ancora: qual è il posto di chi fa musica nella società contemporanea? In quale misura la musica può contribuire all’evoluzione di questa società?

La musica è un linguaggio non verbale, ma è un linguaggio e come tale è adoperato da sempre dall'umanità. Prima di affrontare chi fa musica, per chi e a che scopo bisogna riflettere su un fatto essenziale la musica è diventata anche nell'ambito della cultura quella con la C maiuscola "oggetto" e come tutti gli oggetti è messo in vendita , acquistato ed usato. Dall'altra parte anche quadri o statue di grandi artisti, libri antichi e moderni sono oggetti che vengono messi in vendita. Il processo che li trasporta dal mondo puro delle idee al grande mercato allestito dall'intera umanità nel corso della storia appare un fatto così legato alla natura stessa del loro essere oggetto - anche se d'arte - che non ci si pone nemmeno il problema se ciò possa svilire in qualche modo la loro natura "artistica". Sembra invece che la musica vista sotto questa prospettiva decada dal mondo dell'arte a quello più basso del consumo, anzi consumo di massa.

"Il mondo della musica si è focalizzato sulla lucidatura maniacale di una vetrina di capolavori.

Per formare il pubblico di domani le istituzioni musicali dovrebbero rafforzare il loro impegno per la costruzione di ponti inaspettati tra generi diversi.

C'è una nozione che va decisamente respinta: quella che vede nella musica classica una fonte sicura di bellezza consolatoria - qualcosa come uno spa treatment, un trattamento rigenerante per anime stanche. Atteggiamenti del genere offendono non solo i compositori del XX secolo, ma anche i classici che si pretende di amare. Immagino l'ira di Beethoven, se qualcuno gli avesse detto che un giorno la sua musica sarebbe stata diffusa nelle stazioni ferroviarie per sedare i pendolari e allontanare i delinquenti. Familiarizzarsi con compositori quali Berg e Ligeti porta a scoprire nuove dimensioni anche in Mozart e in Beethoven: e ciò vale sia per il pubblico che per gli esecutori. Per troppo tempo abbiamo rinchiuso i maestri classici in una gabbia d'oro; è venuto il momento di aprirla.

ALEX ROSS (Traduzione di Elisabetta Horvat) © Alex Ross/Guardian News & Media Ltd

In un interessante libro di Philip Tagg Popular Music, viene infatti sottolineato, tra le varie analisi a cui la "musica" viene sottoposta, "che la prima cosa che salta agli occhi scorrendo l'indice del volume è il fatto che ci si occupa di repertori musicali che ben di rado vengono seriamente affrontati in ambito musicologico. Si tratta di quelle musiche che, diffuse attraverso dischi, la radio, il cinema e la televisione, usate per sonorizzare ambienti di ogni tipo, suonate in discoteca e in grandi concerti nelle piazze e negli stadi di mezzo mondo, con i loro suoni riempiono gran parte della nostra vita quotidiana." E' il rock, la disco music, la musica leggera, ecc è la" popular music" di cui "musica popolare" che ne sembrerebbe la traduzione più logica possiede connotazioni di eticità, di oralità, di cultura rurale e di epoca pre-industriale che ben poco hanno a che fare con l'idea di "popolar music" che invece è legata alle idee di internazionalismo, di mass media, di metropoli, di tecnologia e di modernità. L'analisi musicologia della popular music s'intreccia con un secondo interesse che è quello della comunicazione musicale. La musica ha infatti assunto una grandissima rilevanza sociale e culturale nella nostra vita. Ora questi recenti sviluppi delle attività musicali non sono stati controbilanciati da corrispondenti studi musicali - scuole, università, istituti di ricerca, conservatori- e questo ha creato vari tipi di problemi. Philipp Tagg, non vuole che lo studio della musica sia relegato come un'attività fine a se stessa ma cerca di portare avanti una ricerca che abbia una qualche utilità sociale rivolgendosi esplicitamente anche ad educatori, insegnanti perché bisogna occuparsi ed affrontare le attività musicali mass-mediatiche e coinvolgere in questo anche sociologi, antropologi che si occupano della nostra società e della nostra cultura. La musica alla pari degli altri mezzi di comunicazione è una forma di conoscenza che partecipa attivamente alla strutturazione dei valori, delle visioni del mondo, dei modelli di vita che caratterizzano la nostra cultura e società. Questo è l'aspetto "politico" che oggi si sottovaluta specie negli ambienti accademici e la gran colpa della mancata "evoluzione" della società odierna è proprio frutto di questa miopia che non fornisce gli strumenti critici per comprendere e giudicare la valenza ideologica dei messaggi musicali a cui spesso siamo sottoposti anche contro la nostra volontà. Ovviamente lo studioso Tagg è stato sempre molto osteggiato, i suoi studi in tale direzione iniziano negli anni '70 e come si può osservare, forse solo il jazz comincia a farsi strada faticosamente in Conservatorio. Esiste sempre la terribile missione di dover "alfabetizzare" non solo chi si occupa di musica diversa da quella classica ma di imporre un modello musicale universale, sostenendo che la musica è un linguaggio universale. Gli stessi suoni significano la stessa cosa per persone diverse in qualunque condizione, tempo luogo e cultura?

Dora Filippone


venerdì 24 giugno 2011

"Middle-classic": la musica d'inizio secolo tra classico e swing


"Middle-classic": la musica d'inizio secolo tra classico e swing

Dora Filippone, Elena Parasacco mandolino e mandola

Alessio Nebiolo, Pino Russo chitarra e chitarra jazz

Laura Conti voce

Trio vocale della classe di canto jazz del Conservatorio "A.Vivaldi": Erica Celesti, Angelica De Paoli, Pia Perez

Giovanni Scotta pianoforte

Ermenegildo Carosio

Ali Dorate

Ettore Carosio

Prime viole valzer

Sempre l'amore valzer Boston

Ermenegildo Carosio

Passione

Edera

pianoforte solo

Ermenegildo Carosio

Sorrisetti infantili

Alice

chitarra sola

E. Carosio

L'etoile foxtrott s

mandolino e chitarra

Detective Rag (mandolino, mandola, chitarra)

Me Ideal (E. Carosio, G. Ferrero)

Laura Conti: voce

Pino Russo: chitarra

Tulipan (Rich)

Trio Vocale: Erica Celesti, Angelica De Paoli, Pia Perez

Pianoforte: Giovanni Scotta

Hear My Song, Violetta ( A. Carosio)

St. Louis Blues (W. C. Handy)

I'm Confessin (D. Dougherty, E. Reynolds)

Dream a Little Dream of Me (G. Khan, W. Schwandt)

C'è stato un momento particolare del repertorio musicale, quello d'inizio secolo, dove la musica classica più "leggera" - parliamo dei walzer, polke, mazurke, dei ballabili in generale - viene esportata in America e in Sud America col grande fenomeno dell'immigrazione europea. Quando ritorna in Europa è contaminata dai ritmi del jazz e di altre culture musicali extra-europee: il fenomeno più noto è lo "swing". Con la nascita della radio, della televisione e soprattutto delle case discografiche il genere "classico" e quello così detto "leggero" divorzieranno definitivamente.

Middle-classic vuol cogliere quel particolare momento dell'ultimo decennio del 1800 e il sorgere del nuovo secolo, il '900, in cui i due generi ancora apparentemente riuniti, convivono.

Incalzati dagli avvenimenti storici ed economici, dall'avvento dell'industria e dall'applicazione della tecnologia al suono, ciascuno reagirà in modo differente. E' nel 1877 che la musica cominciò a diventare un oggetto: nascono i primi fonografi e nel 1906 negli Stati Uniti la Victor lancia sul mercato il Victrola : una consolle in mogano rifinita come un pianoforte, venduta al prezzo di 200 dollari. Contemporaneamente la linea Red Seal sempre della Victor, otteneva i primi successi con Caruso e la Patti in testa. Erano dischi incisi soltanto su un lato e costavano la bellezza di 7 dollari: una cifra che nel 1906 dava accesso a un intero guardaroba. Se nei confronti della musica c'era stato sempre un certo snobismo, e balletti, recitals e soirées rimanevano comunque un terreno scivoloso per il borghese, i dischi riuscirono a portare la musica su un piano a lui più famigliare: quello dell'acquisto. Prima dell'avvento del disco nessuno parlava di "industria" della musica. Prima del capitalismo il musicista suonava per guadagnarsi il pane: svolgeva il suo lavoro al cospetto di mecenati nobili, ecclesiastici, paesani in festa. Oggi l'ascoltatore non ha bisogno di vedere il musicista dietro il vinile.

Middle-classic vuole infine far conoscere quella produzione musicale in cui è protagonista una figura di musicista che potremmo definire ibrida: da una parte ha alle spalle studi accademici autorevoli, dall'altra è attratto dal successo legato alle nuove tecnologie, alle contaminazioni armoniche e ritmiche del jazz, ad altri tipi di voci dal timbro non più lirico. Pagheranno un grosso scotto per aver composto lì in mezzo tra i due secoli: famosissimi in vita e dimenticati oggi totalmente; troppo giovani per la "musica leggera" che ancora non esiste e troppo vecchi per i dischi, la radio e la televisione che ci saranno più tardi. Affideranno al mandolino e alla chitarra le loro note, in duo, trio, quartetto, in ensemble fino a 190 elementi nel concerto del 1903 a Londra al Cristal Palace.

Tra i vari abbiamo scelto i fratelli Ermenegildo ed Ettore Carosio musicisti eclettici nati ad Alessandria, pionieri per aver diretto e fondato - Ermenegildo- un giornale musicale "Il Mandolinista" con tiratura quindicinale per pubblicare musica per chitarra e mandolino per circa trent'anni e creato un genere musicale unico tra cassico e leggero: middle-classic!

Intervista a Dora Filippone, quarta parte


Lei attualmente titolare della cattedra di chitarra presso il Conservatorio "A.Vivaldi" di Alessandria, com’è la situazione nel mondo del Conservatorio dopo la riforma?

Disatrosa e con possibilità di peggioramento e questo non è pessimismo. Avevamo il Conservatorio rispetto a tutta l'Europa, che era una scuola straordinaria. Ci si poteva diplomare in musica anche da privatisti, era riconosciuto il talento a prescindere dall'età, ora tutto questo è stato distrutto e non c'è più alcuna differenza tra un Conservatorio e un qualsiasi Istituto Musicale o Scuola privata. Per poter avere un titolo musicale, cioè un'identità socialmente riconosciuta, bisogna entrare nei trienni e nei bienni. Che motivazione ha un ragazzino a venire ora in Conservatorio per fare quello che , può benissimo andare a fare sotto casa sua. Non sono un' accademica, ma non si può pensare di eliminare qualsiasi forma di strutturazione di un percorso di studio: e come se tutte le scuole, elementari, medie, licei togliessero qualsiasi certificazione del percorso effettuato ed il primo titolo che si consegue come studente è la laurea di primo livello perché diversamente non hai in mano niente. Nessun studente è costretto a fare le scuole fino alla laurea, ma può decidere di fermarsi ad un certo punto del percorso e dire sono arrivato fino a lì. Per il momento si va sulla falsa riga di come era prima ma mentre prima tu avevi in mano un titolo di studio, ora non solo non c'è l'hai ma sei costretto ad aspettare fino a 18 anni per entrare in un triennio musicale. A tutt'oggi non esistono ancora i licei musicali, dico licei musicali non falsi licei musicali cioè classici o quant'altro con sezioni dove i musicisti sono ammassati come fossero una rara specie animale. Non è mai esistito un vero progetto di riforma (se poi era così necessaria?!) che si occupasse in primis della delocalizzazione degli studi musicali e poi caso mai dell'Università .

Sappiamo tutti che la cultura in Italia è il fanalino di coda della società, con questa bella riforma è stata fatta tabula rasa e non te lo dico da reazionaria ma da musicista antidogmatica. Questa è la riforma più inutile e vanagloriosa che sia stata pensata: già l'Università è caduta nel caos totale e stiamo parlando di Istituzioni organizzate da secoli, pensa aver voluto forzare il Conservatorio ed imbrigliare tutto in crediti, debiti, dimenticando appositamente "talento" "vocazione" "arte". Non ho mai visto persone così poco "colte" incoronarsi dottori "honoris causa". Questa demagogia non può essere vincente perché non si entra in un comparto Universitario dal portone di servizio. Così assisteremo al declassamento della maggior parte dei Conservatori, in questo momento tutti cercano di gonfiare i numeri pur di dimostrare di avere più allievi del Conservatorio vicino ai trienni e ai bienni, perché è la guerra dei numeri quella che si sta facendo e tutti rimarranno a bocca asciutta perché verranno creati solo 4 o 5 cinque Conservatori Superiori in tutta Italia ( non so come si chiameranno aspettiamo che la Burocrazia partorisca l'ultimo nato) che rilasceranno l'agognata Laurea e ci sentiremo tutti più Europei e soprattutto più bravi!





Recentemente lei ha curato il convegno dedicato al liutaio Pietro Gallinotti, storico liutaio di Solero, come è andata questa lodevole iniziativa? Gallinotti è stato uno dei decani della liuteria chitarristica italiana …

L'omaggio a Gallinotti era doveroso non solo per la sua fama internazionale ma perché il Conservatorio di Alessandria data la vicinanza geografica a Solero, non poteva non essere l'Ente per eccellenza da coinvolgere con le sue ben tre cattedre di chitarra, la cattedra di chitarra jazz e i corsi di propedeutica musicale in cui la chitarra nuovamente è uno tra gli strumenti più richiesti. Il territorio alessandrino e astigiano sono sempre stati molto prolifici sia musicalmente che artigianalmente e nell'intento di rilanciare anche una professione -quella del liutaio- che non può scomparire, si sta cercando di mettere in moto un progetto che rivaluti anche il territorio sotto il profilo della ri-coltivazione e conseguente uso dei legni locali, con cui si facevano anticamente gli strumenti musicali.

Invitata da Giacomo Parimbelli che per primo ha contattato il Comune di Solero per la realizzazione di un CD di cui è l'esecutore con chitarre Gallinotti e con musiche di compositori del primo novecento italiano, insieme al liutaio Mario Grimaldi che opera anche in provincia di Alessandria, attento studioso della liuteria gallinottiana, abbiamo costruito una giornata indimenticabile: una maratone musicale e una preziosa esposizione di strumenti -chitarre e violini- per illustrare i cambiamenti dei modelli di riferimento man mano che Pietro Gallinotti produceva i suoi strumenti. Non è mancato nulla: abbiamo anche suonato brani jazz su una rarissima e preziosa chitarra jazz costruita da Gallinotti a dimostrazione che non solo era liutaio, ma anche fine intenditore di musica senza inutili barrire tra i generi musicali. Abbiamo avuto preziose testimonianze dal vivo - ha suonato anche il figlio Carlo Gallinotti- e rari documenti quali filmati e registrazioni televisive. A questo omaggio ha preso anche parte la classe del Conservatorio di Ginevra di Alessio Nebiolo col quale collaboro da diversi anni, anche perché Ginevra è stata la prima città che ha consacrato Gallinotti come liutaio, premiando i suoi strumenti nella prestigiosa Esposizione musicale del 1927. I prossimi passi saranno quelli di riuscire a creare a Solero un museo dedicato a Pietro Gallinotti, museo che non deve solo essere l'omaggio ad un grande liutaio nato e vissuto lì, ma che deve essere vivo non solo con la scontata programmazione di concerti e convegni, ma con l'attenzione a non diventare un luogo morto ma annodare saldamente ad esso il territorio per rilanciare oggi più che mai una professione e la preziosa figura del "liutaio".

Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario? Tutta questa passiva tendenza ad essere aggiornati e di possedere tonnellate di mp3 che difficilmente potranno essere ascoltati con la dovuta attenzione non comporta il rischio di trascurare la reale assimilazione di idee e di processi creativi? Le faccio questa domanda anche il relazione al fatto che lei ha realizzato diversi dischi .. come viene curata la loro distribuzione?

Non solo i dischi ma anche il mondo legato al cartaceo (giornali e libri) sono destinati a scomparire o a trovare una forma diversa dall'attuale. I dischi in generale, quelli con grandi interpreti o grandi orchestre costano troppo e non è il prezzo basso che diffonde quelli di "massa". La musica classica non accetta di reinventarsi nel senso che nel campo della musica leggera hanno capito subito che bisognava personalizzare il prodotto per far sentire il consumatore protagonista. Così ad un costo più basso hanno lanciato sul mercato dei CD con pochi brani scelti dal consumatore che vede così personalizzato il prodotto e che in fin dei conti ama magari una sola canzone di quel cantante o di quel gruppo, che è poi quella che li ha resi famosi. Il consumatore di oggi vuole personalizzare la musica che sente perché è inter-attivo e perché è lo stesso supporto multimediale che lo obbliga a fare ciò. Per il CD vista anche la lunghezza 70' ci vuole tempo e noi siamo ormai abituati a piccoli koctail sonori da pochi minuti a 15/ 20 al massimo che strutturano il nostro vissuto emotivo. E' cambiato profondamente l'atteggiamento dell'ascolto ed è questo uno dei motivi per cui il pubblico diserta ormai sempre più le sale da concerto e si muova solo in circostanze particolari dove il concerto si trasforma in un evento imperdibile. Se il CD ripropone le stesse dinamiche dell'ascolto del concerto è chiaro che entra nello stesso circuito problematico. Inoltre c'è da considerare anche il fascino dell'immaterialità dei supporti, sempre più piccoli e pieni di dati, anzi la sfida è proprio quella di creare supporti minimali inversamente proporzionali alla loro potenza. Non per ritornare al solito leitmotiv ma internet se adoperato bene è uno strumento che non ha rivali. Innanzi tutto è estremamente economico e permette una conoscenza non così superficiale delle cose, permette di orientarsi, di scegliere, di cambiare e poi su questa base si decide se possedere un supporto più raffinato, specifico, completo. Con l'offerta che esiste oggi è anche questione di spazio ed il consumatore medio non è più necessariamente un collezionista, l'accesso ai dati è per tutti. A questo punto acquistare il prodotto è una scelta dettata da altre esigenze, da altri criteri. Ho fatto molti dischi, ognuno con una storia diversa e in momenti storici ben differenti. Ho visto nascere l'industria dei CD e assisto al suo agonizzare: ormai ogni disco se pur in serie e almeno in 1000 copie, è una storia a sè a partire dalla produzione, a seguire la sua distribuzione e la vendita.

Ci consigli cinque dischi per lei indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta.. Che musiche ascolta di solito?

Ascolto così tanta musica che alla fine nell'isola deserta, come in un film di Antonioni farei finta di caricare un juke-box e rigorosamente a rallentatore ascolterei il "Silenzio" di Cage.

Quali sono invece i suoi cinque spartiti indispensabili?

Quelli che Cage mi ha spedito per poter ascoltare "Il Silenzio" nell'isola deserta.

Il Blog viene letto anche da giovani neodiplomati e diplomandi, che consigli ti sente di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di iniziare la carriera di musicista?

Sicuramente al momento di non rimanere purtroppo in Italia, i miei allievi si perfezionano all'estero in quanto le struttura pubbliche, intendo i Conservatori superiori sono più organizzati e permettono esperienze musicali di livello. Questo non vuol dire che in Italia nel pubblico non esiste la possibilità di studiare bene, ma è tutto molto frammentario, magari trovi un insegnante fantastico in una disciplina ma gli fa eco assolutamente l'incontrario in un'altra. Ne parlo con cognizione di causa perché ho vinto ben due borse di studio indette dalla Comunità europea: la prima quando non c'erano i trienni e bienni, ma esisteva solo il Conservatorio vecchio ordinamento e la seconda a distanza di 15 anni a riforma partita. Mentre 15 anni fa il problema era solo sotto il profilo formale, non esisteva l'Erasmus per i Conservatori italiani per cui avevo ottenuto lo scambio con un liceo musicale a Gant in Belgio, perché i nostri Conservatori non erano considerati Scuola Superiore per l'Europa ed il divario tra la preparazione che fornivamo noi italiani rispetto ai colleghi europei era notevolmente sbilanciato sotto il profilo strumentale a favore del Conservatorio italiano, l'esperienza fatta con l'ESMUC di Barcellona qualche anno fa ha evidenziato invece la totale inadeguatezza dei conservatori italiani: già solo gli spazi completamente ripensati per il professionismo, questo vuol dire in soldoni circa 90 aule studio prenotabili via internet, dipartimenti organizzati con referenti, uffici, segretarie, biblioteca con 20 postazioni internet e con partiture, DVD, CD a vista consultabili direttamente dallo scaffale, prestito elettronico, studi di registrazione, diversi auditorium, mensa, armadietti deposito borse o strumenti, macchine fotocopiatrici super moderne, continuo…. tutto costruito ex novo dalla città di Barcellona con i migliori architetti. Noi abbiamo Conservatori che esistono da secoli ma dormendo su questo privilegio storico non siamo stati capaci di ripensare gli spazi in modo diverso. Il Conservatorio di Musica di Ginevra col quale la mia classe di chitarra ha uno scambio attivo da anni è in pieno centro in una magnifica sede antica. Lì però non insegnano i 150 insegnanti e non vanno i 3500 allievi: capisci che con questi numeri sarebbe impossibile usare quella sede, infatti si fanno concerti solistici, musica da camera, ecc. La città di Ginevra ha messo a disposizione per il Conservatorio altri edifici per le lezioni e non solo in città ma anche nei comuni della cintura per un totale di 12 sedi. Poi c'è il Conservatorio Superiore che dipende dall'Università e ci sono 350 allievi cioè solo il 10% di 3500; e poi c'è ancora il Conservatorio di musica popolare e poi ci sono le scuole private. Io sto parlando solo di Ginevra città. Questa è l'Europa musicale, qui si parla solo di riforma ma facciamo musica al pari dei latinisti o dei grecisti. Che futuro occupazionale ci può essere di fronte a questi numeri che nessuno sciorina, per non perdere la corona che vuole avere a tutti i costi in testa?

Inoltre sono dati per difetto, ma la crisi della cultura con la quale si riempiono la bocca tutti politici per trovare soluzioni e rimedi è intimamente legata ad un altro dato: l'Italia è uno dei paesi con più fuga di cervelli in Europa circa 45.000 studenti hanno lasciato l'Italia per non fare più ritorno non solo per studiare nei bienni professionali ma per, una volta terminati gli studi, lavorare non sottopagati e malamente. Oggi il pubblico della musica classica è in Italia un pubblico vecchio e non c'è ricambio. Un'intera generazione è mancante e sarà mancante non solo come forza economica ma soprattutto come potenziale pubblico che consuma, che vive di cultura e spettacolo perché è il pubblico colto che mancherà. Questo porterà sempre più disoccupazione in campo artistico e i dati allarmanti sono già sotto gli occhi di tutti.

continua domani

giovedì 23 giugno 2011

FFFortissimo Guitar Ensemble


FFFortissimo Guitar Ensemble
Dora Filippone Ivana Maimone Carmelo La Certosa Pino Russo

Stepan Rak

Rumba
Andrew York
Pacific coast Highway
Maurizio Benedetti
Ale
Andrew York
Bantu
Leo Brower
Paesaggio cubano con rumba
Paesaggio cubano con pioggia
Paulo Bellinati
A Furiosa
Stephen Funk Pearson
Elassomorph



Il FFFortissimo Guitar Ensemble si avvale di quattro concertisti decisi a fondere le loro differenti esperienze in un progetto orientato alla creazione di materiali sonori e atteggiamenti esecutivi che costituiscano una vera e propria linea di frontiera nella ricerca del sound chitarristico.
Creare, con materiali sonori e atteggiamenti esecutivi, una "pleasure zone" per loro stessi e per chi li ascolta.
Il repertorio del gruppo nasce da un incontro felice di esperienze e gusti diversi, di fronte a un panorama che ha visto espandere il territorio della musica per chitarra dall’ambito colto a varie e diverse contaminazioni: con il jazz, con il rock, la popular music, la world music... I quattro musicisti si sono trovati, come per magia, ad apprezzare e condividere il gusto per un genere dai contorni più sfumati: quella che in Francia è stata definita la guitare actuelle. Si vengono a recuperare forme, melodie e ritmi lontani dal concertismo tradizionale, fortemente improntato al virtuosismo e alla volontà di stupire, per stabilire con il pubblico dei concerti un feeling centrato sul piacere dell’ascolto e, a specchio, sul piacere dell’esecuzione. Questo genere ha un carattere e una fisionomia riconoscibili, personali: non aggiunge nulla di rivoluzionario alla storia della musica o della chitarra, ma nel caso del quartetto è in grado di esaltare le singole personalità espressive dei componenti, che si fondono in un insieme armonico e gradevole prima di tutto per loro stessi. E’ proprio grazie a questo “idillio” che il pubblico può riverberare sugli esecutori suggestioni, colori, profumi che nascono direttamente dalla partitura. Il “corpo” del repertorio raccoglie brani provenienti da tutto il mondo, riorganizzati e unificati armoniosamente in un ventaglio di colori cangianti. Come per le arti figurative, in musica le frontiere nazionali non esistono. Si pensi alla produzione “americana” di Dvorák, o al fascino esercitato su Debussy dalle orchestre balinesi di gamelan. Lo spettatore potrà sperimentare un felice disorientamento ascoltando un brano composto da un autore americano, ispirato a musiche popolari africane a loro volta influenzate “di rimbalzo” dalla tradizione caraibica.

Intervista a Dora Filippone, terza parte


So che lei ha suonato assolute di diversi compositori italiani e stranieri Berio, Correggia, Castagnoli, Donatoni, Ferrero, Henze, Maderna, Petrassi, Scelsi, Solbiati .. che ricordi ha di loro, dei loro insegnamenti, della loro poetica musicale?

Come fare a riassumere esperienze così intimamente legate alla frequentazione dei compositori e allo studio delle loro composizioni? Ognuno di loro ha scritto una pagina di storia importante e questo è l'aspetto unico e irripetibile della mia esperienza artistica come esecutrice, legata a questi grandi compositori. Potrei raccontare aneddoti, conversazioni, testimonianze ma per non fare torto a nessuno di loro occorrerebbe uno spazio diverso da quello di una domanda generica. A parte Maderna che ovviamente non ho conosciuto direttamente, quelli che ho incontrato sono state personalità estremamente diverse. I mezzi di comunicazione erano differenti e non esistendo internet, face-book, e via dicendo il pubblico sentiva di più come necessità di dover assistere all'evento musicale, essere presente, per poter dire "io c'ero". Che cosa lo spingeva a spostarsi per assistere al concerto, la curiosità di vedere l'artista ed il suo esecutore dal vivo perché diversamente poteva leggere o guardare tutt'al più qualche fotografia. Oggi con YouTube puoi avere informazioni su un artista o su un particolare evento subito e poi decidere se andare o meno; una volta si leggeva la critica sul giornale di quasi tutti gli eventi musicali oggi ci sono i blog. L'evento è marginale, è più importante essere su YouTube che essere nel mondo "reale" e questo fatto ha notevolmente influito sulle dinamiche di iterazione tra pubblico, compositore ed esecutore. Oggi si vede l'esecutore che suona Scelsi piuttosto che Castagnoli, è l'esecutore che è diventato il protagonista. Trent'anni fa era estremamente diverso, il compositore era il protagonista della scena prima ancora di sentire una nota della sua musica e tu esecutore eri al servizio della sua arte. Per esempio per essere un esecutore di Scelsi dovevi studiare con lui ed avere un'esperienza intensa e totalizzante con la sua poetica. Ricordo le giornate passate con lui nel suo appartamento romano a provare Ko-Tha di cui sono stata la prima esecutrice, tra storie zen, meditazione e racconti biografici. Ricordo l'affetto di Petrassi, la signorilità di Henze, l'esuberanza di Donatoni, la delicata giovinezza di Solbiati, l'eclettica personalità di Ferrero, il surrealismo di Castaldi, la condivisione culturale ed artistica con Correggia, le cene e i pranzi a casa dove ho cucinato per molti di loro tra l'organizzazione di un concerto e l'altro, molti, che anche tu per ragioni di spazio non nomini.

Mi dispiace di quel periodo non aver voluto e potuto fermare più di tanto questi incontri perché era estremamente più complicato e perché era come violare l'intimità di un rapporto. Sarebbe stato artificioso e stonato scattare foto o riprendere con telecamera, cavalletto, ogni momento. Oggi è diventata prassi della vita quotidiana e una nuova forma del comunicare. Rimpiango di non aver avuto a disposizione questa possibilità semplice e immediata legata al vivere comune: mi rimane solo la possibilità di raccontare e scrivere. Le parole sono come pietre che indicano il cammino: questa intervista mi permette di mostrarlo ad un pubblico più vasto di quello che ho avuto finora a disposizione. Grazie.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Se gli estremi si toccano nascono interessanti contaminazioni. Trovo assolutamente affascinante l'idea di globalizzazione musicale intesa non nel senso deteriore del termine, ma come capacità di poter osservare il "globo" dall'alto, da una posizione straordinaria che è quella totalizzante del cosmo in assenza della forza di gravità, che in questo caso paragono all'attrazione fortissima che esercita la cultura di appartenenza su ciascuno di noi. E la cultura di appartenenza può giocare dei brutti scherzi se non riflettiamo su alcuni aspetti che diamo per scontati. Questo aggettivo "globalizzazione" per esempio, che accostiamo a musicale è uno stereotipo del linguaggio odierno che in particolar modo per la musica non funziona. Basta porsi questa semplice domanda: gli stessi suoni significano la stessa cosa per persone diverse in qualunque condizione, tempo luogo e cultura? Evidentemente no, ed è per questo che la musica non è un linguaggio universale. Spesso "universale" viene sostituito dall'aggettivo globalizzante che è più di moda. Ma l'errore di fondo rimane ed è dimostrabile, come propone lo studioso Philip Tagg, con un semplice esperimento Universali in musica e "musica universale" i cui risultati sono pubblicati nel libro Popular Music. Egli riflette sul fatto che mentre è discutibile l'opinione che la musica sia un linguaggio universale, è incontestabile l'affermazione che tutti gli esseri umani sono mortali e che a parte guerre o disastri naturali, in tutte le culture la morte di ogni essere umano è caratterizzata da una qualche forma di rituale. "Se la musica è un "linguaggio universale" - "universale" nel senso di globalmente transculturale e "linguaggio" nel senso di "sistema simbolico" - dovremmo aspettarci che il fenomeno globale della morte dell'uomo dia origine alla stessa musica in tutto il mondo. Dato che le cose non stanno così, lo scopo di questo articolo è trattare la specificità culturale della musica connessa al fenomeno universale della morte e suggerire che la nozione di musica come linguaggio universale è non solo un equivoco, ma anche una affermazione ideologica." Queste riflessioni sono del 1994 e credo che ci sia stata solo una piccola indagine su questo equivoco e "che la musica e la morte sono allo stesso tempo universali e culturalmente specifici e che quindi abbiamo bisogno di chiarire i modi in cui la musica o la morte o entrambi non sono universali". Lo scontro a cui oggi assistiamo tra culture dominanti e altre culture che stanno emergendo pone sempre più il problema infatti sull'inevitabile competizione per il predominio e la sopravvivenza anche in campo culturale. Credo che il musicista di oggi ha il compito di porsi di fronte alla musica "attrezzato", prenda coscienza degli stereotipi culturali in cui bene o male, tutti siamo incappati e che si rimetta in moto azzerando i punti di vista che finora hanno sorretto l'impalcatura della nostra cultura dominante e che con umiltà e collaborazione voglia sperimentare nuovi approcci in questo universo sonoro così vasto e ricco.

Più che una domanda .. questa è in realtà una riflessione: Luigi Nono ha dichiarato “Altri pensieri, altri rumori, altre sonorità, altre idee. Quando si ascolta, si cerca spesso di ritrovare se stesso negli altri. Ritrovare i propri meccanismi, sistema, razionalismo, nell’altro. E questo è una violenza del tutto conservatrice.” … ora .. la sperimentazione libera dal peso di dover ricordare?

E' inutile dire che sono pienamente in accordo con la riflessione di Nono, ma sposterei la domanda su un altro piano: il problema non è sul fatto se la sperimentazione libera dal peso di dover ricordare, è necessario riformulare il quesito e soffermarsi a mio avviso sui meccanismi che stanno alla base della comunicazione umana in generale, ed in particolare quella musicale. Nell'opera d'arte le implicazioni filosofiche, estetiche, semiologiche, ecc sono molteplici e mutevoli a seconda del periodo storico. In generale esiste poca riflessione su questi principi generali propri della semiologia che brilla per l'assenza nei programmi dei Conservatori. Confusa spesso con la Semiografia, la semiologia è una disciplina in grado di chiarire i meccanismi della comunicazione. Molte volte un esecutore arriva ad intuire qualcosa in modo empirico e questo è il limite, che può essere superato solo se si riconosce che la cultura vera, passa da dei nodi di conoscenza che vanno sciolti solo attraverso i meccanismi che non sono mai inutili dello studio e dei saperi.

La musica alla pari degli altri mezzi di comunicazione è una forma di conoscenza che partecipa attivamente alla strutturazione dei valori, delle visioni del mondo, dei modelli di vita che caratterizzano la nostra cultura e società. Questo è l'aspetto "politico" che oggi si sottovaluta.

Qual è il ruolo dell’Errore nella sua visione musicale? Dove per errore intendo un procedimento erroneo, un’irregolarità nel normale funzionamento di un meccanismo, una discontinuità su una superficie altrimenti uniforme che può portare a nuovi sviluppi e inattese sorprese...

" E' il segno dello straordinario quello di non venir compreso ogni giorno; per comprendere il superficiale i più son sempre disposti: ad esempio, a udire cose da virtuosi."(Schumann)

Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?

Una parte del mio lavoro di tesi è stato analizzare il rapporto tra musica e "media". Nel linguaggio comune diamo per scontato il fatto che la musica sia a disposizione in ogni momento tramite l'uso di apparecchiature e dispositivi che hanno permesso la fono-fissazione più comunemente chiamata registrazione. "L'oggetto sonoro" come l'ha chiamato Pierre Schaeffer può essere conservato, come un segno sulla carta, senza scomparire non appena emesso, come prima del 1877 era stato per tutti i fenomeni udibili (la registrazione fu inventata nel 1877 da C.Cros e T.Edison).

Cosa succede infatti quando da evento mistico-rituale unico e inafferrabile, la musica, si trasforma in comune bene di consumo, collezionabile, scambiabile e utilizzabile in qualsiasi momento della giornata? Queste questione sono affrontate dal critico musicale Evan Eisenberg nell' "L'angelo con il fonografo": musica, dischi e cultura da Aristotele a Zappa, un testo fondamentale che tutti i musicisti dovrebbero conoscere. La riflessione dello studioso è perché l'uomo ha cercato in tutti i modi di fissare su un supporto la musica, slegata completamente dalla sua sorgente sonora. "Prima del suo avvento (si allude al fonografo) ogni esecuzione musicale (a parte i casi in cui un musicista suonava per se stesso) costituiva obbligatoriamente un evento mondano. Ci si doveva riunire…Le persone dunque si radunavano e per semplificare le cose lo facevano ad intervalli regolari. Una consuetudine che da sempre fondeva il legame tra musica e rituale. Quando arrivò il fonografo gran parte dell'impalcatura crollò. La musica diventò un oggetto che ognuno poteva possedere individualmente e godere a proprio agio.. Non c'era bisogno di cooperare, di coordinarsi o di condividerla con qualcun altro. Solo i musicisti erano ancora tecnicamente necessari, come - dato l'aspetto economico della riproduzione - il resto del pubblico. Ma solo tecnicamente. Con il possesso del disco entrambi scomparivano… Crollato il tempio della cultura, ognuno era libero di portarsi a casa i mattoni preferiti e disporli a suo piacimento"

Oggi dopo più di cent'anni dall'invenzione della registrazione, osserviamo che è un fatto ormai indiscutibile che ai nostri giorni si ascolta più musica per via elettroacustica che attraverso la forma più naturale dell'esecuzione dal vivo, ci si deve chiedere se la via indiretta non sia, per l'ascoltatore più moderno, la forma più "naturale". Infatti i CD o gli MP3 sono diventati il modo prevalente del nostro tempo di fare ed ascoltare musica, di praticarla. Il "potere metafisico" del disco come osserva Eisenberg è la capacità, propria della riproduzione sonora, di affrancare la musica da qualsiasi limite spazio-temporale.

Consapevoli che oggi la musica è un bene di consumo possiamo parlare di marketing.

Il marketing, anche se non nell'accezione del termine odierno, è sempre esistito. Non vedo grosse differenze tra passato e presente. Il fatto di aver a disposizione dei mezzi così potenti come internet e tutta la tecnologia ad esso legata, ha ingigantito il culto del' "ego". Molto spesso oggi si assiste all'esasperazione dei tratti esteriori a discapito dei contenuti. E' la montagna che partorisce il topolino. Da una parte è fantastico che tutti possano essere visibili e possano mettere il loro materiale su Internet e dialogare, scrivere, commentare. Dall'altra l'amplificazione dell'informazione, non penso che possa attribuire più di tanto valore, a quello che non c'è l'ha. Per fortuna il popolo di internet è meno influenzabile, perché è interattivo sia con il mezzo, che con la comunità di utenti che è molto varia, multietnica, curiosa, consumatrice. Internet è sospeso in una dimensione di "remote access", che deve poi interagire con la realtà. Se in altri contesti ha dimostrato di essere l'arma vincente per far circolare informazioni, promuovere eventi, unire persone, nel campo artistico e in particolare quello musicale è necessario fare delle riflessioni. Innanzi tutto bisogna domandarci di che musica parliamo? Se quella classica contemporanea siamo in alto mare, nemmeno internet riesce a colmare il disinteresse che la musica classica moderna suscita presso il pubblico come afferma Alex Ross che prosegue domandandosi "Per chi suona la musica colta?" Il problema da affrontare è capire a fronte dell'inequivocabile constatazione "Perché ci piace Pollock e la musica colta no? (Alessandro Baricco articolo del 08/02/2011 Repubblica) che la musica colta è un particolare aspetto della nostra cultura che sfugge alle leggi di mercato. In realtà siamo immersi ogni giorno inconsapevolmente nella musica classica contemporanea usata come colonna sonora, come supporto a particolari sequenze visive - pensiamo a Schutter Island di Scorsese con musiche di Cage, Morton Feldman, Scelsi e Ligeti- solo che non ce ne accorgiamo e slegata da quel contesto non riesce a d avere la stessa credibilità. Il problema quindi è la credibilità del messaggio e non tanto il marketing tout-court!

continua domani

mercoledì 22 giugno 2011

Corsi estivi di Arturo Tallini






Intervista a Dora Filippone, seconda parte


Nella sua intervista per il blog Maurizio Grandinetti raccontava di come avesse deciso di suonare musica contemporanea in un momento in cui questa scelta non era una semplice “decisione” musicale. Comportava una vera e propria presa di posizione ideologica, addirittura politica e grandi sono state le polemiche, i litigi, le rivalità di quei anni: gli strali di Henze contro il dogmatismo di Darmstadt, i tentativi di uscire e superare il serialismo, l’intransigenza di Boulez, addirittura le accuse a Stockhausen di essere un agente a servizio del capitalismo da parte di Cornelius Cardew … tutte cose spiegabili a posteriori con il desiderio di ciascuno di rivendicare per se una fetta di attualità. Oggi, dopo la caduta delle grandi ideologie e le certezze economiche distrutte dalla recente crisi si può ancora parlare di radicalismo nella musica contemporanea? Chi sceglie il repertorio contemporaneo fa ancora una scelta forte o “solo” una scelta di stile?

Le avanguardie in generale hanno giocato male la partita, il pubblico è stato molto spesso maltrattato e molto spesso non c'era proprio nulla di buono da sentire. E' stato necessario però passare da lì perché nell'arte non ci si può fermare al "mi piace" bisogna andare fino in fondo per poi trovare altre soluzioni. Il problema è che se Donatoni per esempio scriveva in quel suo stile, non se lo potevano permettere i "suoi imitatori" che scrivevano pure difficile e male. Questo fenomeno dell'imitazione di qualcun altro è stato portato molto alle lunghe e alla fine ha stufato. Progressivamente l'avanguardia per assurdo ha insistito sul cliché di se stessa, su uno stereotipo che l'ha portata progressivamente a morire. Oggi quello che va di più è tutt'altro, la maggior parte dei Festival contemporanei ha dovuto fare i conti con lo svuotamento progressivo delle sale ed interrogarsi volente o nolente sul valore del messaggio proposto. E siccome la cultura odierna considera l'arte alla pari di una merce il cui valore è attribuito in primis dal ritorno d'immagine che ha, è presto spiegata la penuria di programmazione di cui oggi soffre la musica contemporanea.

Credo che comunque questa problematica, per quanto in Italia come al solito è pesante ed è davvero di proporzioni inaudite, ha affinato l'ingenuo e prodotto alcuni fatti curiosi: per esempio l'orchestra Nazionale della RAI dedica sempre alcuni concerti alla Musica Contemporanea con prime esecuzioni assolute e non. Era desolante vedere l'Auditorio della RAI mezzo vuoto. Così hanno avuto l'idea di invitare un dj che fa riascoltare l'esecuzione dei brani attraverso la sua rielaborazione elettronica live. L'Auditorium è pieno di giovani che durante l'intervallo riascoltano, con la lattina di coca cola in mano la musica contemporanea: ecco questo è un esempio di mediazione possibile che ai puristi potrà far inorridire ma che confessO, che per alcune composizioni, il guadagno non è poco.

E poi perché bisogna solo interrogarci sul valore delle avanguardie musicali e rifiutarle a priori, mentre quelle pittoriche per esempio sono oggi di gran moda?

Relativamente alla musica personalmente provo la stessa noia anche verso la musica tonale, intendo dire quella "minore", che si scriveva perché si aveva un mestiere e di compositori "grigi" ce ne sono tanti ma nessuno lo dichiara. Mi viene in mente l'immagine di Bunuel nel film "L'angelo sterminatore" dove un gruppo di persone sono prigioniere per ore in un salotto senza che in realtà ci sia niente che vieti l'uscita da quella stanza. Bunel è magistrale nel descrivere man mano che passano le ore, il processo per il quale hanno il sopravvento dinamiche di gruppo irrazionali alimentate solo dalla paura, generata da luoghi comuni, dove il pensiero non riesce più a trovare una via d'uscita logica. Oggi mi sembra più che mai, che la cultura sia vittima di atteggiamenti stereotipati e non abbia il coraggio di atti unici propri e che non si assuma i rischi, che sono impliciti in ogni scelta.

Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei suona sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … si riconosce in queste parole?

Assolutamente si, la musica non ha per me in questa accezione, dimensione spazio temporale: è musica e basta. Il problema vero è che quando Berio parlava così era perchè si era creata un'immagine di un musicista super specializzato: chi faceva musica contemporanea non era più accettato come musicista in grado di poter suonare bene Beethoven e viceversa. Sono stati interpreti come Pollini, fra i primi, che hanno ribaltato questo pensiero per cui oggi assistiamo finalmente a queste sorprendenti incursioni Bollani con Chailly, e anche musicisti che sanno suonare bene più di uno strumento come era nel passato.

Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Le attitudini dei veri musicisti sono sempre state le stesse: un musicista del passato o del presente cerca di cesellare il proprio talento esplorando tutte le possibili vie espressive. Possono cambiare i termini: fioriture, diminuzioni, ma da sempre i grandi musicisti compositori o esecutori che siano si divertono estemporaneamente ad improvvisare. Che cosa sono le variazioni alla fin fine una delle possibili improvvisazioni su un tema dato che vengono poi fissate a posteriori sulla carta. Come scrive Schumann a proposito dell'Eleonora di Beethoven : "Sovente possono esservi due varianti d'uguale valore. La prima è generalmente la migliore." Trovo invece che i chitarristi "classici" in generale, siano terribilmente ingessati, specie nel repertorio dell'800. Non lo comprendono, perché in generale non sono capaci di essere flessibili e sono solo esclusivamente preoccupati di dimostrare di andare più veloci del vicino. E' triste constatare la mancanza di fantasia e vitalità che caratterizza la maggior parte delle incisioni aggravata dal fatto inequivocabile che non si frequenta il Teatro d'Opera. Questo particolare repertorio anche se strumentale, era intimamente legato all'opera lirica, era un fatto così ovvio e scontato che non era nemmeno necessario dichiararlo. Così barricati in questo universo del chitarrista e del repertorio eseguito così, contribuiscono a far bollare ancora di più come "minore" un repertorio ironico, pieno di spunti da cogliere al volo e dimostrano di non leggere la musica - "l'occhio armato vede stelle, dove quello disarmato scorge soltanto ombre di nebbia" (Schumann "La musica romantica" ), e di non ascoltare soprattutto altri interpreti non necessariamente chitarristi.

Inoltre vorrei sottolineare, come ho scritto in un mio saggio, che il fatto di trovare tante trascrizioni d'epoca per due chitarre -si pensi all'Ouverture di Rossini di Giuliani, o alla Londinese di Hydn di Carulli tra le tante - non deve far sorridere perché la funzione sociale che solo la chitarra aveva, per la facile trasportabilità e accordatura, è paragonabile all'uso che oggi si fa dell'iPod. Per assurdo oggi in un'epoca dove con un click a portata di mano si può soddisfare immediatamente una qualsiasi curiosità o esasperare la sete di conoscenza, trovo che il mondo della chitarra classica o accademico, sia arroccato su posizioni interpretative insostenibili e mi fa sorridere che proprio questo tipo di esecutore fa il peggior servizio allo strumento che suona. Questo fatto - se lo si confronta con l'interesse, invece, e il seguito che ha "l'altra chitarra" cioè quella non solo classica - deve indurre a delle constatazioni tra le quali a titolo esemplificativo osservo come artista che contrariamente ai luoghi retorici con cui l'accademia si difende, loro "gli altri chitarristi" hanno i piedi ben saldi nella musica e nel mondo, trascinano folle di persone entusiaste e annoverano grandi musicisti, a meno che ancora una volta i chitarristi invece di confrontarsi con i loro colleghi, pensino come una "casta" che solo la musica classica o il repertorio "Segoviano" sia degno di essere suonato e studiato!

Non sono capaci di cogliere ed importare nel repertorio "classico" le prassi improvvisative comuni sia ai generi "antichi" (chitarra barocca, battente, ecc) che a quelli più attuali jazz, blues, rock, pop, flamenco, ecc. La chitarra vive d'improvvisazione, ne è stata sempre imbevuta: sulla carta è da sempre stato fermato solo un canovaccio minimo o massimo, ma sempre canovaccio per pubblicare lo spartito. Se per esempio prendiamo come riferimento musicisti quali Ferdinando Sor o Mauro Giuliani, che vivevano in grandi capitali europee ed ascoltavano le prime assolute dei più grandi compositori della storia di quel periodo, che erano inseriti nella vita musicale di quei tempi ai più alti livelli e dovevano anche se "idealmente" gareggiare per vivere con quei grandi là, come possiamo pensare che suonassero così le loro opere, le pubblicassero così per essere eletti da quello stesso pubblico che partecipava assiduamente e pienamente alla vita musicale di quell'epoca, come dei "grandi"? Grandi solo rispetto al mondo della chitarra!? E degli emeriti "minchioni" - mi passerai il termine perché uno che renda così bene l'idea più fine non lo trovo - rispetto al mondo musicale che li circondava. Ma questo ruolo glielo appioppano quegli esecutori che per esempio, trovando lo stesso accordo ripetuto molte volte -specie nei finali dei brani- li eseguano perfettamente a tempo così come scritti. Ad un qualsiasi musicista, di fronte solo a due accordi di do maggiore in un finale gli verrebbe in mente di fare almeno un'improvvisazione di un arpeggio sull'accordo, al saggio chitarrista invece no, così è scritto e così deve essere fatto e se spesso e volentieri in alcune opere, specie quelle didattiche divulgative, svariate volte troviamo questo cliché esasperato anche notevolmente, che non sia mai detto di inventarsi qualcosa, si fa come scritto! Queste esecuzioni così forzate e poco convincenti hanno allontanato sempre di più la chitarra dai circuiti internazionali delle stagioni concertistiche. Relegata per lo più nei festival esclusivamente chitarristici, sorta di aste in cui l'elemento vincente non è più l'opera del compositore, ma l'enorme valore attribuito all'esecuzione, da parte di quel mondo che partecipa e vive quasi esclusivamente "di chitarra", fino a raggiungere posizioni al limite del ridicolo: l'interprete chitarrista è visto come il depositario della verità. Hai mai visto un grande pianista incidere per esempio gli studi del Beyer, il metodo con cui si inizia a studiare il pianoforte o la tecnica giornaliera del pianista di Pozzoli, per illuminare le future generazioni di giovani pianisti con l'esecuzione di opere didattiche in modo DOC, col marchio del grande esecutore al servizio dell'intera comunità pianistica, faro insostituibile nella sua funzione salvifica? Noi chitarristi abbiamo un record: anche le incisioni su CD dei 120 arpeggi!

La miniature può diventare preziosa se si racchiude nel poco spazio un mondo meraviglioso, questa è la sfida del nostro strumento.

Concludo con queste parole di Arvo Pärt perché la mia posizione non appaia come quella di una iper-critica magari anche un po frustrata. Noto con profonda amarezza che non c'è una visione dell'insieme, lo leggo nelle interviste, negli articoli riguardo alla chitarra, non c'è umiltà e penso che se potessero parlare oggi i vari Giuliani, Sor, ecc, forse parlerebbero con queste parole:

"I could compare my music to white light which contains all colours. Only a prism can divide the colours and make them apperr; this prism could be the spirit of the listener."

continua domani