giovedì 24 giugno 2010

Intervista a Marco Pavin, terza parte



Luciano Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche negativo, quanto diventa un modo di dimenticare la musica. L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che ruolo possono assumere la musica e i compositori contemporanei in questo contesto?



Non seguo molto queste disquisizioni filosofiche…

Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

L’improvvisazione è da sempre mia compagna di viaggio. Avere l’abitudine ad improvvisare apre nuove strade, sia a livello compositivo che a livello interpretativo. Ai tempi di Bach era perfettamente normale che un musicista sapesse improvvisare. Oggi purtroppo, nei conservatori di musica, si esaspera il lato tecnico-esecutivo, tralasciando completamente l’improvvisazione, che dovrebbe invece essere uno dei temi fondamentali nella formazione di un musicista, sia esso un futuro concertista o un futuro insegnante. Sapere improvvisare, ma anche arrangiare, stimola moltissimo la creatività di un musicista, anche se classico. Devo dire però che, con la recente riforma dei nostri conservatori, qualcosa si sta muovendo in questo senso.

Nel 1968 Derek Bailey chiese a Steve Lacy di definire in 15 secondi la differenza tra improvvisazione e composizione, la risposta fu “In 15 secondi la diferenza tra composizione e improvvisazione è che nella composizione uno ha tutto il tempo di decidere che cosa dire in 15 secondi, mentre nell’improvvisazione uno ha 15 secondi” .. la risposta di Lacy era troppo ironica o corrisponde a verità?


No, non era una risposta ironica! Le cose stanno proprio così. L’improvvisatore è in realtà un compositore estemporaneo. Ma esiste una differenza tra le due cose; infatti non mancano grandi improvvisatori che anche “compongono” in senso classico, mentre vi sono altri che non lo fanno assolutamente. A mio parere gli improvvisatori veramente creativi sono anche quelli che hanno la curiosità e la capacità di comporre “a mente fredda”, mentre quelli che non lo fanno sono spesso solo degli esperti in tecnica dell’improvvisazione, insomma non ci mettono molto di proprio. Parimenti esistono compositori classici che applicano semplicemente le loro conoscenze formali, e non compongono nulla di interessante.

Qual è il ruolo dell’Errore nella sua visione musicale? Dove per errore intendo un procedimento erroneo, un’irregolarità nel normale funzionamento di un meccanismo, una discontinuità su una superficie altrimenti uniforme che può portare a nuovi sviluppi e inattese sorprese...



E’ una domanda molto interessante. Potrei partire dalla teoria darwiniana dell’evoluzione… è appunto l’errore che porta alla generazione di nuovi organismi e, in definitiva all’evoluzione. Voglio dire che l’errore, anche se la gran parte delle volte è un errore e basta, è necessario al cambiamento, anche al cambiamento in positivo. Il giovane Stravinsky si divertiva a “storpiare” gli esercizi che gli davano da studiare, cambiando alcune note con altre che gli piacevano di più. Thelonious Monk metteva dentro un sacco di note che Miles Davis definiva “sbagliate”. Il grande Miles ha dovuto poi ricredersi affermando che “non esistono note sbagliate”.
Un buon improvvisatore, come un buon compositore, riesce a dare un senso a qualunque nota, anche a quella nata per caso o per errore. E magari è proprio quella che ha fatto da stimolo per nuove idee…


- parte prima
- parte seconda
- parte terza
- parte quarta

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