lunedì 14 settembre 2009

Un Tango nel Bordello di Rubén Andrés Costanzo parte prima


Que poco queda de una cosa cuando se explica1

è quasi impossibile vincere una lotta ad armi pari contro un mito, perché il mito è un’idea e le idee non si possono uccidere, vivono nella coscienza collettiva della società e si tramandano da una generazione all’altra quasi per osmosi e difficilmente lasciano intravedere quanto di vero si nasconde nella narrazione; per ottenere la verità bisogna scavalcare il mito e vedere cosa c’è al di là. Ma una volta spiegata la parte vera del mito corriamo il rischio di rimanere con niente o poco di poetico in mano.
Molte narrazioni sul tango, risalenti ai primi del ‘900, sono in parte invenzioni nostalgiche o racconti di persone di una classe sociale alta che ignorava o nascondeva coscientemente parte della storia del tango. Un processo inverso ma che ugualmente distorce la storia è quello di voler applicare i nostri valori a fatti accaduti un secolo fa. Ad esempio, cento anni fa si accettava che due uomini si battessero in duello per risolvere una questione di onore, ma era impensabile che una donna avesse il diritto di voto o portasse la gonna al ginocchio.

La maggioranza delle cronache scritte tra la fine del ‘800 e gli inizi del ‘900, o raccolte da interviste fatte negli anni ‘30, mettono in dubbio la moralità del tango descrivendolo come una danza nata nei lupanari e bordelli del Rio de la Plata; altre invece parlano del tango come danza nata nei sobborghi di Buenos Aires e Montevideo, dalla fusione di diversi ritmi, musiche e coreografie.
In Italia troviamo schierato sulla prima posizione il libro Il Tango2 di Horacio Salas, sulla prefazione dello scrittore Ernesto Sabato si legge la categorica frase “…il tango nasce nei postriboli…” (pag. 9) più avanti Salas spiega: “Ma il luogo abituale del tango, legato fin dalla sua genesi alla danza e al suo sviluppo musicale, fu il bordello. Nei cortili dei postriboli, nelle ampie anticamere e come complemento all’attività principale della casa, le prostitute avevano l’abitudine di ballare con i clienti” (pag.85).
Contraria all’idea del tango postribolario troviamo la signora Meri Lao, nel suo libro Todo Tango3 – di cui raccomando una attenta lettura del capitolo: “Con beneficio di Inventango”, dove si fa un’analisi dei numerosi errori sulla storia del tango nelle pubblicazioni italiane – sul bordello l’autorevole scrittrice ci dice : “Nessun tango di quelli che, per dirla borgianamente, «costeggiano la nostra vita», è stato creato negli ambienti del sesso mercenario. I ritratti del bullo con vocazione di prosseneta risalgono soprattutto agli anni venti e si fermano agli anni trenta. Peraltro, sono stati superati. Valgono solo per turisti” (pag.23).
Bordello no, Bordello si. Non credo sia il caso di trovare una via di mezzo ma un mezzo per trovare un’uscita da questo dilemma si, e i documenti storici ci saranno di aiuto.


Viene spontaneo indicare il postribolo come luogo di nascita di una danza molto sensuale con un’alta carica di erotismo. Ma che cos’era il tango alla fine dell’ottocento? Al dire il vero non si aveva una idea chiara di che cos’era, ma non c’era nemmeno il bisogno didattico o filosofico di spiegarlo. Nel 1821 troviamo uno dei primi documenti dove il tango appare non come danza bensì come luogo in cui gli abitanti di origine africana di Buenos Aires organizzavano serate danzanti di beneficenza4; solo in seguito tale nome viene associato al ballo svolto in quei luoghi – “tango de los morenos”, “tango de los negros” – anche se erano ancora balli sciolti e non di coppia.
Verso il 1870 le compagnie di Zarzuela che vennero dalla Spanga portarono al Rio de la Plata il genere conosciuto come Tango Andaluz che, insieme alla Habanera sbarcata a Buenos Aires con i marinai centroamericani, divennero balli alla moda, portati nei sobborghi grazie ai suonatori di organetti.
A mescolare nuovamente le carte è l’utilizzo del termine milonga. Josè Hernàndez è il primo, nel poema epico El Gaucho Martìn Fierro, a utilizzare il termine “milonga” come luogo di ballo5 . È Ventura Lynch, nel 1883, che identifica una danza dei sobborghi come milonga; egli inoltre sostiene che la coreografia della milonga è un’imitazione grottesca del candombe (o tango dei neri) da parte dei malavitosi del quartiere6. Fino al 1900 i termini milonga e tango identificheranno la medesima danza. Il primo documento che ci descrive e nomina il tango come oggi lo conosciamo risale al 1897; la commedia Justicia Criolla di Ezequiel Soria7 , descrive la coreografia di un tango ballato nel cortile di una casa.
Da tutte queste informazioni possiamo dire che il tango rioplatense è un prodotto ibrido, nato nell’ambiente urbano dei sobborghi proletari. Ma allora, quando i bordelli entrano nella storia del tango?

.. continua domani

Foto di Pat Ferro


1 Trad.: Che poco rimane di una cosa quando viene spiegata.(pag. 97) In: Wimpi (Arthur Gracia Nùñez), El Gusano loco. Editorial Freeland. Bs As 1978
2 Horacio Salas, Il tango. Ed. Garzanti. Milano. 1992. La prefazione dello Scrittore Ernesto Sabato, appartiene ad un libro dello stesso Sabato: Tango Discusion y clave. Ed. Losada. Bs. As. 1963
3 Meri Lao, Todo Tango Cronache di una lunga convivenza. Tascabili Bompianti. Milano 2004
4 Archivo General de la Naciòn, Legajo Sala X-32-10-1, citato da Enrique Horacio Pucccia, El Buenos Aires de Angel G. Villoldo (1860...1919) Edizione del autore. Bs. As. 1976 Alla pagina 76
5 La “milonga” viene citata indiversi brani del poema. Due citazioni significative sono: dal verso 1.139 fino al 1.142 (pag.150) e dal verso 1.921 fino al 1.932 (pag.177). Josè Hernàndez, El Gaucho Martìn Fierro. Ediciones Càtedra. Madrid 1991. Edizione a cura di Luis Sàinz de Medrano.
6 Ventura R. Lynch. Cancionero Bonaerense. (riestampa della prima edizione del1883) Buenos Aires. Imprenta de la Universidad. 1925
7 Irene Amuchastegui. El dìa en que el tango tuvo nombre. Suplemento Expectàculos, diario Clarìn. Buenos Arires 28 settembre 1997 pag. 8. Intervista a Josè Gobello vicepresidente dell’Academia Nacional del Tango dell’Argentina

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