sabato 31 gennaio 2009

A.Segovia: Estudio 1 Em Villa Lobos

Recensione del concerto del Duo Ad Libitum a Murano 14 novembre 2008 di Riccardo Giubilato

Rilanciare il binomio chitarra-Italia a fianco di un ben più comune binomio chitarra-Spagna: con questo intento si apre il sipario della serata organizzata dall’associazione “Centro Musica Murano” che vede il duo “Ad Libitum” esibirsi a Palazzo Da Mula, nell’isola veneziana di Murano. Il duo “Ad Libitum”, composto dai giovani Leonardo de Marchi e Giacomo Costantini, nasce alla fine del 2006 con la volontà di riscoprire il repertorio per due chitarre, in particolare del primo ottocento e del novecento storico.
L’evento ha inizio, dopo una presentazione della serata da parte dell’associazione e del duo, con l’esecuzione delle tre serenate op.96 di Ferdinando Carulli (1770 - 1841). Questa prima metà del programma conferisce un’originalità particolare alla serata, poiché costituita da significative pagine del repertorio per due chitarre, purtroppo sottovalutate da gran parte dei concertisti di oggi, che il duo “Ad Libitum” ha saputo eseguire con straordinaria maestria e padronanza grazie ad un intenso lavoro di perfezionamento musicale e di ricerca.





“Elegante”, “coinvolgente” potrebbero essere due parole adatte a descrivere con efficacia l’esecuzione delle “Serenate”. Già con la prima il Duo manifesta una raffinatezza esecutiva tale da rendere l’ascolto del pezzo particolarmente piacevole al pubblico e da coinvolgerlo delicatamente nello svolgimento musicale. Tale raffinatezza si spiega nell’approfondita preparazione tecnica e musicale dei due musicisti, che sono stati in grado di fare proprio il linguaggio dei pezzi e di comportarsi come un unico organismo. La chitarra di De Marchi si rivela propria di una vastissima gamma di sfumature timbriche e di una capacità di ascolto particolare, riuscendo a essere sempre protagonista dei propri episodi di maggior interesse tematico senza prevalere sull’altra chitarra, quella di Costantini, che a sua volta è in grado di offrire all’esecuzione una base musicale stabile e precisa completando alla perfezione l’esecuzione, che risulta estremamente solida e calibrata.
Il concerto prosegue nella seconda parte con l’esecuzione solista di due pezzi: “Obsequio a el Maestro” di Mario Castelnuovo-Tedesco da parte di De Marchi e “La Maja de Goya” di Enrique Granados da parte di Costantini. Il programma si chiude di nuovo con il duo, che esegue due trascrizioni di brani pianistici di Isaac Albeniz. “Tango Espanol” e “Sevilla”, riproponendo l'influenza, nell'immaginario del compositore spagnolo, di suggestioni provenienti rispettivamente dal mondo musicale ispano-americano e da quello andaluso.
Al termine della serata, il duo offre come fuori programma “Modinha” del brasiliano Celso Machado.
Meritano una particolare attenzione gli interventi solistici.
Evocativa ed affascinante la lettura operata da De Marchi di “Obsequio a el maestro” di Castelnuovo-Tedesco, che risuona elegantemente all’interno della sala dell’antico Palazzo da Mula. Il pezzo, di cui l'interprete sembra aver interpretato al meglio la scrittura, fa parte di una raccolta di chiamata “Caprichos de Goya”, ispirata ai “Caprichos” del celebre pittore ed incisore Francisco Goya. De Marchi riesce a trascinare l'animo degli ascoltatori attraverso un percorso di immagini malinconiche, frutto di una particolare abilità di ascolto comune solo a pochi; di questa capacità si rivela padrone anche Costantini nell’esecuzione de “La Maja de Goya” di Granados, nella trascrizione di Miguel Llobet. Da apprezzare è il modo in cui Costantini riesce a risolvere i passaggi strumentalmente più impegnativi ed ostici, conferendo loro una sonorità naturale.
Scopriamo così che l'effetto provocato sul pubblico da “Obsequio al Maestro” scaturisce anche dall’esecuzione de “La Maja de Goya”. Infine, “Tango Espanol” e “Sevilla” confermano l’abilità tecnico-musicale e la solidità d'insieme del duo.Particolare di conseguenza l’apprezzamento del pubblico, il quale ha tributato ai giovani interpreti un meritato e caloroso apprezzamento.

Riccardo Giubilato

venerdì 30 gennaio 2009

A.Segovia: Bourrée by Robert de Visée

In preparazione il volume sulla chitarra in Italia nella prima metà del Novecento

Il progetto è nato dal positivo esito del Convegno‘Romolo Ferrari e la chitarra in Italia nella prima metà del Novecento’, tenutosi a Modena lo scorso 1° marzo 2008.
L’attenzione e l’interesse suscitato dalla ‘riscoperta’ in senso musicologico della storia chitarristica italiana del primo Novecento ha permesso l’ideazione di questo volume che sarà dato alle stampe nel 2009 presso il prestigioso editore modenese Mucchi, in occasione del cinquantenario (1959-2009) della scomparsa di Romolo Ferrari, musicista fondamentale nel panorama di quel periodo, specialmente per la sua eclettica e per certi versi ‘pionieristica’ attività volta a valorizzare su più fronti il mondo musicale legato alla chitarra. L’argomento del volume rappresenta una novità in quanto ancora non era stato realizzato uno studio organico su queste tematiche, mentre numerosi, specialmente negli ultimi anni, sono stati i contributi volti alla riscoperta di singole figure di quel periodo, attraverso opere di ricerca, di esecuzione musicale e di registrazione discografica.
Ai contributi dei relatori che hanno partecipato al Convegno si sono aggiunti gli apporti di altri ricercatori venuti a conoscenza del progetto, che negli scorsi mesi è stato divulgato in modo ampio anche attraverso le riviste di settore. Si è così venuta a creare una equipe di ricerca, che unisce non solo chitarristi-ricercatori, ma anche compositori e musicologi che si sono da tempo interessati alla chitarra, accomunati dall’aspetto più autentico e vitale della ricerca, ovvero quello della condivisione e del confronto reciproco e costante. Si tratta quasi di un unicum nel campo della musicologia chitarristica, particolarmente significativo per un periodo così vicino cronologicamente ma che ancora offre ampi spazi per un approfondimento, come la prima metà del Novecento: lo sforzo sarà infatti maggiore nel dare una storicità ai fatti, nel cercare i documenti originali (non sempre accessibili e spesso racchiusi in fondi privati), descrivendo per la prima volta un ritratto di quell’epoca colto nei suo vari aspetti, in un divenire storico che pur fra difficoltà contingenti (ad esempio i conflitti bellici) ha saputo creare intorno alla chitarra un vitale movimento di energie e di attese su cui poggiano gli sviluppi più recenti. Forse proprio ora, a una giusta distanza temporale, siamo in grado di analizzare meglio quel periodo, attuando una riflessione basata sull’analisi delle fonti e insieme sulla comprensione del percorso storico-musicale del nostro strumento, colto nella sua complessità. Sarà forse questo il punto di partenza per ricerche ulteriori, e per un metodo di lavoro che sempre più potrà configurarsi come depositario di una seria consapevolezza del fare ricerca, che non è disgiunta dal fare musica, o dall’essere musicisti. La sensibilità, la passione, l’umile e paziente lavoro di ricognizione sono altrettanti requisiti che guidano questo approccio.
Il volume sarà articolato in tre sezioni, ovvero una prima parte incentrata sulla figura e sull’opera di Romolo Ferrari, poi la parte centrale del lavoro, volta ad analizzare i vari aspetti che concorrono a creare un ritratto dell’epoca (la didattica, il repertorio, i rapporti con i chitarristi stranieri, l’editoria, la liuteria, etc.), mentre la parte conclusiva è dedicata ad alcune figure particolarmente significative che meritano di essere ricordate ripercorrendone con maggiore profondità il percorso biografico e artistico.
Ci auguriamo di offrire con questo progetto un contributo alla conoscenza del nostro strumento, sia per quanti oggi già lo apprezzano, sia per chi si accosta per la prima volta alla chitarra e vuole conoscerne la storia, sia per consegnare alle generazioni future una testimonianza e al tempo stesso un punto di partenza per altre analisi e ricerche.
La prestigiosa Accademia di Scienze Lettere e Arti di Modena, come è già avvenuto per il Convegno, offrirà il patrocinio culturale al presente progetto, secondo la continuità di intenti che fin dall’inizio ha caratterizzato la collaborazione con questa antica istituzione. L’appuntamento sarà dunque nel 2009 di nuovo presso le sale settecentesche dell’Accademia, con un incontro di presentazione del volume. In questa occasione a quanti ne faranno richiesta sarà fatto omaggio di una copia della pubblicazione, nell’intento di diffondere il più possibile questo lavoro.
Invito ancora, in questa fase di puntualizzazione delle ricerche, a mettersi in contatto con la sottoscritta, curatrice del volume, o con gli autori dei singoli contributi quanti possano fornire testimonianze, indicazioni, documenti dell’epoca che saranno debitamente citati nel volume, unitamente a un ringraziamento verso quanti stanno collaborando anche in questo modo al presente lavoro.

Simona Boni
info@simonaboni.it
cell. 347-0431572
tel. 059-570067

Progettazione del volume: ‘Romolo Ferrari e la chitarra in Italia nella prima metà del Novecento’
Prefazione all’opera (Enrico Tagliavini)
Parte I: Romolo Ferrari. Profilo Biografico (Simona Boni); Ferrari Compositore (Giovanni Indulti); Le composizioni dell’Ottocento nel ‘Fondo Ferrari’ (Massimo Agostinelli).
Parte II: Il ritratto di un’epoca. Il repertorio musicale del chitarrista italiano del primo Novecento (Giacomo Parimbelli); La didattica chitarristica nella prima metà del Novecento (Mario Dell’Ara); L'istituzione della cattedra di chitarra nei Conservatori italiani (Silvia Mastrogregori); Le edizioni e le riviste chitarristiche italiane (Vincenzo Pocci); Compositori non chitarristi in Italia (Gianni Nuti); Ettore Desderi (Piero Mioli); Il contributo di Oscar Chilesotti alla storia del liuto e della chitarra tra fine Ottocento e primo Novecento (Stefano Toffolo); The influence of Italian Guitar Music and Italian players on the development of artistic Guitar Playing in Germany in the first half of the XX century (Andreas Stevens); Toto Amici, Antonio Dominici e i rapporti chitarristici tra Italia e Russia (Marco Bazzotti); Mandolino e chitarra: repertorio e contesto musicale nella prima metà del Novecento (Ugo Orlandi); La liuteria chitarristica in Italia nel primo Novecento (Roberto Regazzi); Registrazioni storiche (Giuseppe Idone ).
Parte III: Alcune figure notevoli. Maria Rita Brondi (Maurizio Mazzoli); Anselmo Bersano (Adriano Sebastiani); Carmelo Coletta (Paola Dato); Teresa De Rogatis (Clara Campese); Cesare Lutzemberger (Norma Lutzemberger); Luigi Mozzani (Giovanni Intelisano); Giovanni Murtula (Luciano Chillemi); Pasquale Taraffo e la Scuola Chitarristica Genovese (Giorgio Ferraris); Benvenuto Terzi (Giacomo Parimbelli).

giovedì 29 gennaio 2009

A.Segovia: Fandanguillo

Rassegna In Corde 2-7 febbraio 2009 Bologna, Ferrara, Cesena, Modena, Carpi, Pieve di Cento, Faenza, Cento


Dal 2 al 7 febbraio si svolgerà la terza edizione del festival IN CORDE dedicato alla chitarra. La manifestazione, frutto della collaborazione tra conservatori di musica ed istituzioni, animerà le città di Bologna, Ferrara, Cesena, Modena, Carpi, Pieve di Cento, Faenza, Cento, con incontri, concerti e una mostra di liuteria.
La chitarra, uno degli strumenti più antichi della cultura occidentale, ma anche icona della musica moderna, è capace di catalizzare un’ampia gamma di generi musicali e di svolgere un’importante ruolo di aggregazione e condivisione della musica, riuscendo a parlare sia al mondo degli appassionati della musica colta che al vasto pubblico giovanile che segue il jazz, il pop, o la musica classica.
Il repertorio scelto per il festival è rappresentativo di molte tendenze musicali dal ‘600 ad oggi e pone al centro del programma la musica d’insieme.
Ne saranno interpreti giovani esecutori e studenti, accanto a solisti e docenti,
una forma di collaborazione che, nello spirito di IN CORDE, intende testimoniare il ruolo centrale della Scuola nella vita musicale.


A sottolineare l’importanza dell’iniziativa l’alto numero di sostenitori :
Assessorato alla Cultura e Pari Opportunità della Provincia di Bologna, Assessorato alla Cultura del Comune di Bologna, Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, Teatro Comunale di Ferrara, Provincia di Ferrara, Comune di Pieve di Cento, Comune di Cesena, Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna, Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara, Conservatorio “B. Maderna” di Cesena, Istituto Superiore “O.Vecchi A.Tonelli” di Modena e Carpi, Scuola Comunale Giuseppe Sarti di Faenza, Editions Flatus (Sion-Svizzera).


Sito Internet: http://www.incorde.it/
Programma del festival : Festival 2009

mercoledì 28 gennaio 2009

A.Segovia: Bach: Gavotte 1 & 2

Un restauro complesso: un organetto senza scala di Leonardo Perretti



















Fig. 1- L’organetto

Alla relazione del restauro di questo strumento, stilata da Leonardo Perretti, vi sono da aggiungere alcune note che il restauratore ha omesso forse per troppa modestia: Chi non restaura strumenti musicali o non è fra gli "addetti ai lavori", come si dice in genere, non sa che gli strumenti musicali meccanici, a differenza di quelli classici, non hanno una scala musicale universale. Ogni costruttore decideva la propria scala musicale, ovvero quali note far suonare allo strumento e in quale ordine (generalmente dalla più grave alla più acuta), e raramente le diverse tipologie di strumenti che venivano fabbricate nella stessa ditta mantenevano l'ordine delle note inalterato. Generalmente quando si compra uno strumento antico quest'ultimo è mal ridotto: nel caso di uno strumento cordofono spesso le corde sono mancanti o totalmente stonate, mentre per gli aerofoni, come in questo caso, le canne hanno subito tanti e tali danni da suonare note totalmente diverse da quelle per cui erano state costruite. Per le motivazioni appena esposte si sconsiglia sempre di acquistare unicamente strumenti musicali meccanici che abbiano la scala musicale ben contrassegnata (in generale dietro ogni canna o accanto alle caviglie delle corde sono leggibili le lettere della scala musicale antica o tedesca) poichè, tranne nel caso in cui si disponga di uno strumento identico in buone condizioni, è praticamente impossibile ritrovare la giusta accordatura delle terminazioni sonore. Nel caso dello strumento ora in questione, l'acquirente sapeva che esso non era una strumento da comprare poichè, oltre al non suonare, non disponeva della propria scala musicale. Lo strumento venne ugualmente acquistato per via della particolarità costruttiva (é piuttosto raro incontrare spalloni-così viene detto questo strumento- che abbia delle canne al posto delle corde, terminazioni ben più consone in questa tipologia di strumento). Questo strumento è stato inviato da numerosi restauratori italiani ed europei senza che nessuno di questi riuscisse a trovarne la giusta scala musicale. Ogni speranza sembrava perduta sinchè lo strumento non venne affidato agli studi di Leonardo Perretti, eccellente e noto restauratore italiano, che trovò la chiave per risolvere il problema in un modo eccezionale ed innovativo... Preannunciato tutto questo lasciamo il racconto dei fatti a colui che ha ridato voce al nostro spallone a canne: Leonardo Perretti.

Un restauro complesso

E' in via di completamento il restauro di un piccolo ma interessante organo da strada; si tratta di uno strumento piuttosto inusuale, conformato alla stessa maniera dei cosiddetti "spalloni", cioè strumenti trasportati a spalla, con delle cinghie di cuoio, ma in questo caso, anziché essere a corde, esso è un piccolo organo a canne. Questo strumento era stato recuperato dal nostro Presidente Franco Severi e si trovava in uno stato di completo abbandono, le canne asportate e accantonate, molte mancanti, al punto che non si aveva neanche la possibilità di determinarne la scala.













Fig. 2- Cartello indicante il restauratore Borneto Giovanni ('800)

Sulla sua origine nulla ci è dato sapere; la tecnica costruttiva riporta alla seconda metà dell'800 e l'unica indicazione documentaria disponibile è un cartellino, incollato sulla canna più grande, di un "riparatore-accordatore" genovese, tale Borneto Giovanni (fig. 2) Il cartellino, a stampa, reca decorazioni stilizzate di stile liberty. Dopo alcuni tentativi infruttuosi di ripristino, si è deciso di tentare la ricostruzione della scala partendo dall'analisi del cilindro, ripercorrendo cioè, in un certo senso, a ritroso le tappe della notazione, utilizzando tecniche informatico-digitali. Il metodo utilizzato è stato il seguente. Si è partiti da una ripresa fotografica con macchina digitale (Minolta Dimage 7 Hi), suddividendo il cilindro in tre fasce (sinistra-centro-destra); per ogni fascia sono state scattate 65 fotografie, tenendo la macchina fotografica fissa a distanza costante di circa 3 metri dal cilindro e ruotandolo, per ogni scatto, di circa 5,6 gradi (la 65a foto serviva solo per completare la copertura sovrapponendosi alla prima).












Fig. 3- Il cilindro. Nel particolare le linee di riferimento per la trascrizione delle note.

Il passo successivo è consistito nel "ritagliare" digitalmente le fasce centrali di ciascuna foto, perpendicolari all'obiettivo, per un'altezza di circa 1 centimetro, in modo da minimizzare l'errore di prospettiva, e poi unirle a quelle adiacenti, così da ottenere l'immagine completa del cilindro "srotolato" suddivisa nelle tre fasce longitudinali. La fig. 4 è l'immagine di una delle fasce. L'alta risoluzione utilizzata nelle riprese fotografiche permette di ingrandire i chiodi e la superficie del cilindro in modo da visualizzarne i dettagli più minuti. Le immagini complessive sono state poi inserite in un programma di grafica vettoriale, inquadrate all'interno di una griglia dimensionale, evidenziando le linee dei chiodi da analizzare. Si è deciso di rilevare i primi due brani (il cilindro contiene 10 brani) trascrivendo, per ciascuna linea di chiodi, le posizioni iniziale e finale di ciascun chiodo rispetto alla linea iniziale. Poiché nell'utilizzo normale il cilindro ruota con velocità costante, le distanze dei chiodi dalla linea iniziale sono proporzionali al tempo, e indicano, a meno di una costante di proporzione, l'istante esatto in cui la nota verrà eseguita. Una volta rilevate le posizioni di ciascun chiodo o ponte, queste misure sono state trascritte all'interno di un programma di composizione musicale (Cakewalk Metro) come eventi MIDI. Questo programma possiede una funzione molto utile per il nostro caso, e cioè consente di visualizzare il brano come fosse un "rullo perforato", il cui aspetto è, ai fini pratici, identico al cilindro chiodato (vedi fig. 5) Il programma permette inoltre di spostare in blocco le note corrispondenti a un determinato tasto (=linea di chiodi) da un tasto all'altro della tastiera virtuale. A questo punto abbiamo il nostro brano ricostruito nel programma di composizione, ma non conosciamo le note corrispondenti alle varie linee di chiodi, e qui comincia la parte più delicata e incerta dell'indagine. Si è cercato di recuperare tutti gli indizi ed elementi utili allo scopo; una prima indicazione è venuta dalla disposizione delle canne sul somiere. Poiché le canne, come si è detto, erano asportate dall'organo, e molte di esse erano mancanti, non era possibile determinarne l'esatta posizione, tuttavia alcune di esse hanno caratteristiche tali per cui la loro posizione è obbligata; inoltre, sopra le canne erano apposte varie numerazioni, delle quali una, apparentemente la più antica e quindi verosimilmente quella tracciata dal costruttore originale, fornisce ulteriori indicazioni; infine, esiste una regolarità nell'andamento delle canne, che indica una disposizione a cuspide per quelle dei bassi, e a cuspide rovesciata per quelle acute. Va anche detto che il cilindro reca, in prossimità del margine sinistro, due numerazioni parallele che suddividono la circonferenza una in 48, l'altra in 32 parti, corrispondenti evidentemente alla suddivisione delle battute dei brani, e questo costituisce un ulteriore elemento che aiuta nella loro reinterpretazione. Riorganizzando opportunamente le file di chiodi sulla base di questi dati si è ottenuta una prima ipotesi di scala, che è stata verificata ascoltando i brani, sintetizzati dal computer; operando successivamente vari spostamenti e verifiche delle note, si è arrivati ad un'ipotesi finale ragionevolmente congrua, considerato che i due brani presi in considerazione erano ignoti, per lo meno al restauratore. La scala che ne è risultata è quella diatonica con l'aggiunta del Sib, estesa dal Do di 4' al Mi di 1/4'. Una volta determinata la scala, le canne sono state accordate di conseguenza, utilizzando molte di quelle già ricostruite nei tentativi precedenti per completare le lacune.

Leonardo Perretti


Ringraziamo l'Associazione Musica Meccanica Italiana
ttp://www.ammi-italia.com/
per aver concesso la pubblicazione di questo testo.

martedì 27 gennaio 2009

MCZ Museo Carlo Zauli: ELETTRA ACUSTICA: musica elettronica al MCZ

MCZ Museo Carlo Zauli: ELETTRA ACUSTICA: musica elettronica al MCZ

5^ Edizione Corso Semestrale "Zigante"


Vi segnaliamo con piacere la 5^ edizione dei Seminari di interpretazione chitarristica tenuti da Frédéric Zigante, organizzati in collaborazione con la Civica Scuola di Musica di Castelaneta (TA) "Arcangelo Corelli".

Il corso sarà articolato in 3 incontri di 3 giorni (sempre di venerdi, Sabato e Domenica) a partire dal 13, 14, 15 Marzo 2009 sino a luglio con date del 2° e 3° incontro da stabilire.

Durante ogni incontro ogni allievo effettivo avrà a disposizione 2 lezioni individuali e verranno organizzati concerti per gli alunni meritevoli; il maestro inoltre, terrà incontri dibattito su tematiche riguardanti la storia e la letteratura chitarristica.

Per chi fosse interessato a parteciparvi Vi invitiamo a contattare il Maestro Antonio Rugolo quanto prima sia via mail antonio.rugolo@gmail.com che tramite cellulare: 3924602405.

A.Segovia: J.S.Bach-Saraband and Gavotte en Rondeau

SEGOVIA parte seconda di Mauro Storti

All’incondizionata ammirazione del mondo musicale, per il quale la chitarra era sempre stata considerata nulla più che uno strumento da osteria o, quanto meno, adatto solo alle serenate, (2) faceva eco lo stupore di violinisti, violoncellisti, pianisti e organisti che scoprivano come su di essa si potevano eseguire non solo alcune delle pagine più note del loro repertorio, da Bach a Scarlatti, da Frescobaldi a Mendelssohn, da Albéniz a Granados, ma anche musiche dimenticate del passato rinascimentale accanto ad altre di autori contemporanei.
A partire dagli anni ’30, per la prima volta importanti compositori iniziarono a scrivere per la chitarra pur senza saperla suonare (cosa ritenuta impossibile da Berlioz!) dando vita ad un ricco e originale repertorio moderno di ben altra levatura (3) da lui ispirato, a lui dedicato e oggi patrimonio di tutti i chitarristi.

Per completare il quadro del fenomeno Segovia non vanno dimenticati i suoi meriti nel campo della didattica, svolta principalmente in Italia, a partire dagli anni ’50, presso l’Accademia Chigiana di Siena. A dire il vero, la sua azione didattica era già iniziata da tempo per via indiretta, in quanto il suo repertorio, pubblicato quasi per intero e con grande tempestività dall’editore tedesco Schott e noto a tutto il mondo per le incisioni discografiche del Maestro, era entrato in molte case e in molte biblioteche, sicché anche i dilettanti più sprovveduti avevano potuto tentarne un approccio.

Come fosse il Segovia didatta a Siena e, una decina d’anni più tardi, a Santiago de Compostela, esistono molte testimonianze. Il Maestro ascoltava con molta attenzione e, ove fosse il caso, mostrava con qualche accenno strumentale una diteggiatura più funzionale o un freseggio più espressivo. In fondo, non si dice che l’Arte non si insegna ma si ruba? In effetti, pareva che gli allievi fossero là convenuti da tutto il mondo per mostrargli quanto avevano saputo rubare dai suoi concerti, dai suoi dischi, dai suoi scritti, dalle sue diteggiature e dalle sue trascrizioni.
Unico suo (e nostro) rimpianto, la mancanza di un Metodo scritto che, più volte annunciato e mai pubblicato, avrebbe forse potuto gettare le fondamenta di una didattica rinnovata.
A tal proposito occorre ricordare che fin dagli anni ‘50 del secolo precedente, l’eco delle glorie chitarristiche italiane che si chiamavano Giuliani, Carulli, Molino, Carcassi e Legnani, si era andata lentamente spegnendo e il destino della chitarra si era incamminato verso un declino che l’avrebbe fatalmente relegata ai margini della vita musicale. A tenere vivo lo spirito da catacomba di una sparuta comunità chitarristica provvedevano alcuni cenacoli fra i quali ebbero particolare rilievo quelli di Modena, Bologna e Milano che raccoglievano appassionati dilettanti intorno a poche figure carismatiche come Luigi Mozzani, Benvenuto Terzi e Romolo Ferrari i quali però, pur plaudendo agli straordinari successi di Segovia, non furono capaci di comprendere a fondo ed elaborare sul piano pratico gli straordinari elementi innovativi di carattere tecnico e musicale del suo repertorio. D’altronde, non sarebbe forse bastato riflettere sul fatto che l’esecuzione di un repertorio tanto diverso da quello ottocentesco (e persino considerato antichitarristico) era resa possibile, oltre che per l’innegabile eccezionalità dell’esecutore, per la disponibilità di una tecnica nata, cresciuta e maturata lentamente in terra di Spagna nella seconda metà dell’Ottocento. Come sarebbe stato possibile cambiare dall’oggi al domani una radicata e ultrasecolare metodologia italiana? Segovia sembra avere un tono rassegnato quando dichiara che dai tempi di Aguado e di Sor, ossia dal 1830“ non si è ancora realizzata un’ architettura definitiva dello studio del nostro nobile strumento, [ossia] un sistema pratico di studi ed esercizi coordinati in modo da consentire allo studente fiducioso di progredire con continuità dalle prime lezioni fino alla sua completa padronanza”.
Alla lunga ed instancabile attività concertistica e discografica di Andrés Segovia è da attribuirsi quel fenomeno promozionale di immensa rilevanza culturale grazie al quale la chitarra classica vanta, da ormai cinquant’anni, un grandissimo numero di cultori ed è insegnata nei Conservatori ed in molte Università di tutto il mondo.
Se il personaggio Segovia aveva saputo imporsi prepotentemente come modello artistico, ciò era dovuto in massima parte al suo raro potere comunicativo. Egli non era mosso da una maniacale aspirazione al sublime ma da un terrestre generoso desiderio di comunicare agli altri, con la sua tecnica strumentale, trascendente al punto da farsi dimenticare, le intense emozioni poetiche suscitate in lui dalla Musica. I suoi “utensili” erano un suono inconfondibile e seducente, una cavata a volte lieve, a volte energica e virile, profonda e vibrante, una ricca gamma timbrica impiegata con sobrietà e gusto, un fraseggio personalissimo fatto di licenze agogiche quali si possono riscontrare soltanto nella vita pulsante.


Mauro Storti


(2) Nel numero di gennaio del 1935, sul periodico « La chitarra » appariva, a firma di Benvenuto Terzi, un articolo di questo tenore: “che alla chitarra, che per sua natura ha un carattere spiccatamente romantico, si adattino certi sviluppi moderni, sembrami mi sia permesso dire di chiedere all’istrumento più di quello che possa dare. ... La chitarra, strumento ricco di risorse, ma indubbiamente di limitata estensione di suoni, di debole risonanza e per giunta riluttante agli intrecci polifonici ed alla produzione di molte armonie dissonanti, non potrà mai prestarsi all’esecuzione della musica del nostro tempo che si basa su quelle speciali risorse e da essa trae vita e forza per affermarsi”
(3) Soltanto alcuni mesi dopo, sul medesimo periodico si poteva leggere:“A Londra, Andrés Segovia ha eseguito un nuovo programma. Esso comprendeva: Sarabanda e Gavotta di Scarlatti; Sonata in quattro tempi di Castelnuovo-Tedesco; Fandanguillo di Torroba; Omaggio a Tàrrega di Ponce; Studio in la di Tárrega e Ciaccona di Bach. [...] Il pubblico inglese attendeva con molta curiosità la trascrizione di Segovia della Ciaccona per violino di Bach. Il « Morning Post » ed il « Times » ne parlano con entusiasmo. [...] Nei passaggi polifonici soprattutto gli effetti furono veramente magnifici e questa sua grande bravura provocò gli applausi di un pubblico numeroso ed entusiasta. Segovia, trattando il pezzo con varietà di timbri, ha tolto l’impressione di uniformità che ingenera l’esecuzione sul violino”.

lunedì 26 gennaio 2009

A. Segovia: F.M.Torroba, Suite Castellana, I. Fandango.

SEGOVIA parte prima di Mauro Storti


























Nel 1987 si spegneva a Madrid, all’età di 94 anni, Andrés Segovia, una delle figure musicali più eminenti del XX secolo e sicuramente il più importante chitarrista che
il mondo abbia mai conosciuto.
Qualcuno potrebbe obiettare che nella storia della chitarra non mancano nomi di altri eccelsi virtuosi e compositori assurti a fama internazionale tanto nel secolo XIX come Carulli, Sor, Giuliani, Regondi e Tárrega, che nel secolo XX come Llobet, Pujol, Barrios e Yepes. Indubbiamente, pur avendo essi tutti fornito preziosi contribuiti al perfezionamento tecnico-espressivo dello strumento conferendogli le patenti di classicità, completezza e autonomia caratteristiche degli strumenti più blasonati, l’opera di alcuni di questi grandi maestri non è quasi mai andata oltre la ricerca del proprio personale successo, vuoi di virtuoso, vuoi di compositore o di insegnante.
A differenza dei suoi predecessori, Segovia non ha orientato l’attività dell’intera sua
vita verso l’unico scopo di raggiungere l’apice della gloria personale ma si è adoperato, con grande intelligenza e determinazione, per conferire più degna e vasta notorietà ad uno strumento che antichi e pesanti pregiudizi volevano relegato ad un infimo livello musicale.
Fuggito il 12 settembre 1936 dalla natia Spagna in guerra (25 giorni dopo la fucilazione di Garcia Lorca) il suo destino è stato quello di sfrecciare instancabile, per quasi un secolo, ai quattro punti cardinali (ebbe a dire: “Sto conducendo una vita sedentaria alla velocità di 600 Km/ora!”). Con quella semplice chitarra fatta oggetto non di rado di apprezzamenti poco lusinghieri e sfidando con coraggio le critiche severe di quanti ritenevano deplorevole che musicisti di grande valore potessero scegliere un così umile strumento,(1) riuscì a suscitare ovunque con il suo prodigioso talento sfrenati entusiasmi ed indimenticabili emozioni.
Non si può che rimanere stupiti leggendo ciò che hanno detto di lui e della sua arte alcuni noti compositori letteralmente soggiogati dal fascino delle sue esecuzioni:

“Aver sentito Segovia significa aver raggiunto le sfere più alte della beatitudine: egli sa conferire alla chitarra una melodiosità incantevole, morbida, trasparente, una armonia talmente ricca da parere che suonino due chitarre; egli sa condurre il suo strumento in una plaga pura e assoluta, immune da compromessi meccanici e da preconcetti gerarchici” (Luciano Chailly).

“I poteri di quest’ uomo e della sua arte sono di quelli che non si possono misurare. Il nome di Segovia è inseparabile dalla vita delle arti del nostro secolo che egli ha arricchito con il suo magnifico talento, con la sua arte sovrana di grande artista al servizio dei geni più alti della musica di tutti i tempi” (Henry Sauguet).
"I suoi concerti non sono l'esibizione di un virtuoso sen­za pari, ma una sorta di azione spirituale, unica nella sua autenticità, un'evasione dal quotidiano, un'atmosfera nella quale si dimentica lo strumento e l'interprete, ma si è tra­sportati dall'azione musicale spinta alle vette più alte, un arricchimento spirituale, una comunione nella bellezza" (Alexandre Tansman).



(1) Basta rileggere una critica del Fétis apparsa nel lontano 1830 sulla famosa Revue Musicale riguardante un concerto di Fernando Sor: “Citare il signor Sor vuol dire che si è sentito suonare la chitarra con rara perfezione. Che peccato che una testa tanto armonica abbia speso tanto talento e tanta pazienza per vincere uno strumento ingrato!”

domenica 25 gennaio 2009

Speciale Paolo Angeli: Videos

Desired Constellation (Björk, Cover By Paolo Angeli)



One day (Björk, Cover By Paolo Angeli)



Ahead in the sand (Frith, Cover By Paolo Angeli)



Paolo Angeli e Riccardo Pittau in concerto Asuni Sep 2004 part 1



Paolo Angeli e Riccardo Pittau in concerto Asuni Sep 2004 part 2

Speciale Paolo Angeli: la parola alle immagini
















sabato 24 gennaio 2009

Speciale Paolo Angeli: intervista di Empedocle70 parte seconda

Empedocle70: Facciamo un gioco: ti faccio alcuni nomi, che penso siano legati alle tue idee musicali, mi dici se ci ho azzeccato e che cosa significano o hanno significato per te? Incomincio:

Paolo Angeli:
- Police : Summer è il collante e insieme a Towshed (The who) un grande esempio di anti virtuosismo nel rock.
- Tom Cora: un rimpianto non aver mai potuto suonare con lui. È lo spunto per cui ho iniziato ad usare l’arco. Una cavalletta in simbiosi con il suo violoncello, uno dei massimi esempi di strumento quale estensione del proprio corpo.
- Ex: politica e vita musicale inossidabilmente legati. La libertà e l’utopia rossa del punk più creativo.
- Keith Rowe: uno dei padri della chitarra perparata. Massimo rispetto.
- Frank Zappa: troppo geniale per essere preso sul serio dai bigotti dell’accademia.
- John Zorn: un bravo musicista preso troppo sul serio.
- Ennio Morricone: straordinario melodista, il suono del West cullato dal fischio e dalla chitarra tutta frequenze medie!
- Harry Partch: un genio dell’arte del creare strumenti. L’incarnazione del pensiero libero americano senza tabù.

E.: Ascolti mai musica classica o musica per chitarra classica contemporanea?

P.A.: Ascolto con piacere tre chitarristi italiani: Marco Capelli, Maurizio Grandinetti, Walter Zanetti.
In generale preferisco ascoltare altri strumenti.


E.: Hai una discografia davvero impressionante e ho notato che preferisci le incisioni live a quelle in studio, anche la tua ultima fatica Tessuti è stata registrata live, scelta azzeccata visto il carattere “improvvisativo” della tua musica, ma se tu dovessi consigliare a una persona che non conosce la tua musica … che dischi gli diresti di andare ad ascoltare per primi?

P.A.: Partirei dagli ultimi…perché un artista si ritrova dinamicamente nel suo presente. Se poi ha pazienza gli suggerirei di guardare al passato. Di Linee di Fuga mi convincono ancora le parti più rumoriste, di bucato condivido quasi tutto. Dove Dormono gli Autobus e Nita li sento immortalati: sono una parte molto importante della mia vita.

E.: Quale significato ha l’improvvisazione nella tua ricerca musicale? E’ vero che non sai leggere le partiture musicali, o è una leggenda?

P.A.: Baso l’80% del mio approccio sull’improvvisazione. Le partiture…lasciamo vivere la leggenda? Non amo leggere la musica e non l’ho mai fatto in dimensione live (se non per ricordare le macro strutture). So decodificare una partitura ma non mi sognerei mai di affrontare un concerto senza averla digerita e memorizzata integralmente. Detto questo sono consapevole che è un limite ma…alla soglia dei quaranta cosa posso farci? :-D

E.: Consigliaci cinque dischi per te indispensabili, da avere sempre con te.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta …

P.A.: Troppo pochi…mi annoierei! Bene ci provo!
Il cofanetto live di Björk (e già sono 4!), Skeleton Crew o Speechless o Gravity o Dropera (Frith), Gli Aggius (Coro del galletto di Gallura), la gara di canto tra Francesco Cubeddu e Mario Scanu (chitarra Adolfo Merella) e…porterei un collegamento wirless per ascoltare tutto quello che diffonde internet.


E.: Che cosa stai ascoltando ultimamente? So che sei un ascoltatore compulsivo, quando ti piace qualcosa o qualcuno ti fissi e raccogli la sua discografia completa, dacci qualche consiglio.

P.A.: Sto divorando l’intera discografia di Carla Kihlstedt, una musicista eccellente, onnivora, in grado di spaziare tra il pop più raffinato, l’avant-rock, la free music. Poi ascolto due compilation fantastiche di musica Funky nigeriana pre Fela Kuti, l’intero catalogo della Terp - etichetta di Terry Ex in gran parte dedicata all’Africa - Hanne Hukkelberg, sublime pop norvegese, Amanda Jayne, Volta (Björk), il mitico Tom Zé, visionario compositore brasiliano. Sto diventando pigro e…mettere un Cd nel computer mi costa più fatica che accedere a youtube o myspace. Un esempio?In questi giorni ascolto la Crappy Mini Band, una sorta di post punk band che usa strumenti giocattoli e le loro gemmazioni (scena creativa belga/nipponica)...ieri ho passato al setaccio 6 versioni live di ‘In Your Eyes’ di Peter Gabriel! Un’ora immerso nel sound anni ’80.

E.: Il Blog ha aperto di recente una nuova rubrica dedicata ai giovani neodiplomati e diplomandi, che consigli ti sentite di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di iniziare la carriera di musicista?

P.A.: Stringere i denti, infrangere le barriere senza preoccuparsi dei giudizi esterni, dubitare dei maestri che impongono una visione della realtà, rincorrere quelli che evidenziano la relatività di un pensiero musicale e che amano la diversità piuttosto che i propri simili.

E.: Quali sono i tuoi prossimi progetti? Su cosa stai lavorando e con chi e per chi ti piacerebbe suonare?

P.A.: Sono appena rientrato da un tour con la violinista giapponese Takumi Fukushima. Ho caricato sulla pagina www.myspace.com/angelifukushima alcune tracce (l’audio è pessimo ma…mi piace il sapore da live pirata!
È un duo in cui alterniamo parti libere a vere e proprie canzoni: ho molte aspettative per questo incontro. Poi continua la ricerca sul solo. Mi piacerebbe produrre un nuovo disco interamente registrato dal vivo nel 2009. In questi giorni stò lavorando a Sponde di Passione: una sintesi tra fotografia (Nanni Angeli), trapezio (Elena Zanzu) e musica (Ganesh Anandan, Takumi Fukushima).


E.: Una curiosità un po’ sciocca se vuoi: oltre alla chitarra tu e Metheny avete in comune il gusto di suonare dal vivo indossando maglie a righe … come mai? Semplice scaramanzia da concerto o c’è un significato particolare per te?


P.A.: È il modo più semplice per sentirmi a due passi dal mare. Dopo tanti anni per me le righe sono quello che mi porta a chiudere gli occhi e… toccare la mia casa.

E.: Ultima domanda: non ti ho domandato ancora niente sul tuo strumento, la chitarra sarda preparata, non l’ho fatto un po’ perché sono riuscito a documentarmi sull’ottima tesi di laurea realizzata da Stefano Bonelli …. e un po’ perchè penso tu sia anche stufo di doverne parlare a ogni intervista. Quindi solo una domanda veloce: quali sono i prossimi interventi e modifiche che pensi di apportarle, o che lei hai apportato di recente?

P.A.: Il giorno che smetterò di elaborare lo strumento implicherà una fase di stanca creativa. Spero di poter lavorare tutta la vita con la stessa gioiosa curiosità che ha generato questa strana creatura. Ora è la volta della messa a punto del mollofono: una sezione dello strumento nata per realizzare un violoncello volante, trasformatasi per esigenze fisiche della chitarra in una centrale di rumore!

venerdì 23 gennaio 2009

Tanti auguri, Maestro Storti

Lo Staff del Blog Chitarra e Dintorni porge al Maestro Mauro Storti i nostri migliori auguri per il suo compleanno!

Staff Chitarra e Dintorni

Speciale Paolo Angeli: intervista di Empedocle70 parte prima

Empedocle70: La prima domanda è la più semplice, banale e credo che te la facciano a ogni intervista: com’è nato il tuo amore per la chitarra?

Paolo Angeli: È stato un incontro casuale…papà è chitarrista e in attesa di una tastiera che non è mai arrivata mi sono ritrovato tra le mani la sua chitarra. È stata una relazione tormentata! Paragonabile ad una storia d’amore che nasce troppo presto e che cerchi di portare avanti tutta la vita. Ho dovuto faticare a mantenere una continuità con la sei corde. Le piccole e grandi crisi negli anni mi hanno avvicinato a praticare altri strumenti in modo costruttivo. Mi considero un musicista che suona la chitarra, non un chitarrista.

E.: Ho notato che i tuoi cd riflettono un lavoro di equipe che svolgi sempre con le stesse persone: Roberto Monari ,come tecnico del suono, tuo fratello Nanni, bravissimo fotografo, e Ale Sordi, parte grafica. Come è nata questa squadra?

P.A.: È un equipe con cui adoro lavorare. Ogni processo artistico è molto articolato e poter contare su personalità di spicco e competenze tecniche eccelse è un grande privilegio. Per cui mi piace pensare che dietro un lavoro solista ci sia una dinamica di creazione collettiva in fase di pre e post produzione. Dietro questa collaborazione pluridecennale ci sono percorsi umani condivisi, passioni politiche e visioni simili sulla vita. Aggiungerei nella lista Paolo Carta – web master – Francesco Carta - tecnico luci - e Simone Ciani, operatore video.

E.: Come è il tuo rapporto con lo studio di registrazione e con le case discografiche? Sembra che tu abbia un ottimo rapporto con la ReR, casa discografica di culto gestita da un personaggio particolare e molto intelligente come Chris Cutler, come sei arrivato a loro?

P.A.: Il rapporto con la ReR parte dal CD live Bucato. Una volta che la ReR decide di produrre un tuo lavoro, Chris lascia totale libertà all’artista, che può arrivare a chiudere il master e l’artwork senza alcun intervento di censura. In parte si verifica una dinamica simile all’autoproduzione, con i vantaggi di un’ottima visibilità e promozione internazionale. La scuderia ReR è una sorta di famiglia allargata che racchiude in gran parte musicisti che stimo tantissimo (Frith in primis). In ogni caso produco solo dischi in cui mi identifico e non do margini di intervento a terzi sull’estetica che voglio comunicare. Solo dopo aver chiuso il master cerco la produzione affidandomi a persone con cui ho un rapporto di fiducia.

E.: Come vedi la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?

P.A.: È una crisi che non coinvolge il mercato dell’artigianato. Noi siamo piccoli sognatori, che viaggiano con scatole di CD per venderli ai concerti e che derterminiamo il prezzo a seconda del luogo in cui facciamo le tourneè. Si ha un contatto diretto tra artisti e pubblico e alla fine della serata chi ti ascolta ama portare con se un piccolo pezzo della tua storia. Il dowload completa questa opportunità in cui, gratuitamente, tutti possono fruire della musica. È un importante risorsa. E vorrei smitizzare il concetto che vede in relazione MP3=bassa qualità. Sono cresciuto con l’era dei mangia dischi (45rpm) e delle mangia cassette in mono. I bassi costi di produzione permettono a chiunque di produrre un CD. È un elemento di democratizzazione del mercato discografico. Ai grandi numeri non abbiamo accesso per cui: siamo salvi!

E.: Tu provieni da una scelta culturale, quella bolognese degli anni 90 a cui sono “sentimentalmente” affezionato: in quegli anni davo una mano a realizzare un programma radiofonico su Radio Popolare dedicato al post rock e all’avanguardia e mi ricordo diverse corse in macchina verso Bologna per assistere ai concerti al Link. Che ricordi hai di quegli anni? Ce ne vuoi parlare magari accennando a quelle fucine di talenti e idee come il DAMS e il Laboratorio di Musica e Immagine?

P.A.: Rimando alla mia biografia sul sito. Ribadisco che gli anni ’90 sono stati anni stupendi per una città che ha digerito una sanissima produzione culturale antagonista. Rivendico il movimento delle occupazioni. Fanno parte della mia storia, sono state il presupposto per un confronto dialettico tra realtà di incredibile vivacità. Mi sento un privilegiato nel poter circuitare nel mondo in realtà molto simili a quelle che hanno dato origine alla mia parabola artistica. Il LM&I? Un sogno ad occhi aperti di incredibile attualità. Il post anni ’90? Un sentirsi costantemente dietro le barricate a difendere con i denti stretti piccoli spazi di libertà. Questa è una delle ragioni per cui ho lasciato l’Italia.

E.: A proposito del Laboratorio di Musica e Immagine, hai mantenuto i contatti con quel manipolo di artisti? Che cosa è successo dopo il suo scioglimento?

P.A.: Con Stefano Zorzanello abbiamo continuato a suonare in duo. Gran parte degli altri musicisti hanno collaborato creativamente al mio album orchestrale Nita l’angelo sul trapezio: un manifesto che racchiude la Bologna che più ho amato. Sono in contatto con loro e il fatto che gran parte del LM&I si sia ritagliato un consenso internazionale è un’importante testimonianza della ricchezza di quel movimento. Inoltre è importante evidenziare che a raggiungere una maggiore notorietà siano state le ragazze: Margaret Kammerer, Daniela Cattivelli, Olivia Bignardi. Un segnale che va contro la visione fallocentrica del sistema musicale italiano.

E.: Da qualche anno ti sei trasferito a Barcellona, città stupenda e di cui sono innamorato. Come è la realtà musicale barcellonese? Conosco bene il Festival Sonar, hai trovato delle affinità con altri artisti spagnoli?

P.A.: È una città che amo profondamente. Per ora osservo e godo delle intuizioni di musicisti più giovani di me. Adoro Amnda Jayne, musicista americana che è un po’ la colonna sonora della Barcellona meticcia. Con la realtà del Sonar non ho contatti (se non da fruitore). Ma ultimamente preferisco assistere ad un festival di cinema di animazione, o ad una mostra fotografica, che andare ad ascoltare un concerto: mi sorprendo e mi emoziono con più facilità.

E.: Fred Frith e Giovanni Scanu sono stati i tuoi “genitori musicali”. Il nostro blog è particolarmente interessato alla musica popolare e la Sardegna è un grande serbatoio di tradizioni, ci vuoi parlare di questo compianto grande musicista che è stato Scanu e del suo stile musicale?

P.A.: Zio Giovanni è la linfa della mia ricerca. Adoro la musica tradizionale sarda e Giovanni Scanu è stato l’ultimo grande maestro della tecnica ad arpeggio. Conoscerlo è stato come accedere ad un mondo in estinzione: una sorta di passaggio di testimone, di consegna di un prezioso ricordo. È stata una vera fortuna poter essere un suo allievo. È la prima vertebra della mia spina dorsale. Rimando al mio libro Canto in Re per capire quanto è stata impotante la sua figura nella mia vita di musicista.

E.: Fred Frith ha dichiarato nell’intervista rilasciata Enrico Bettinello sul BlowUp che “..restando nell’ambito dei chitarristi, ci sono tre musicisti con cui sento una particolare affinità in questo momento e si tratta di artisti che magari la gente non immaginerebbe: uno è Camel, uno è Paolo Angeli e l’altra è Janet Fader; sono artisti con cui sento di comunicare, oltre a essere persone straordinarie…”, una bella dichiarazione di stima! Ho avuto il piacere di incontrare il Professor Frith dopo il concerto di Cosa Brava a Venezia aprile 2008 e sono rimasto colpito dalla sua cortesia e dal suo sense of humor, com’è il tuo rapporto con lui? Cosa significa suonare con un gigante come lui?

P.A.: Fred è il simbolo di una musica aperta, realmente libera: un free che non si chiude ma che accoglie tutte le contraddizioni del mondo contemporaneo. Inoltre Fred è un ponte tra le generazioni. Nella sua band Cosa Brava suonano musicisti di età compresa tra i 28 e i 60 anni. Ciò evidenzia la sua curiosità e la sua innata comunicativa che lo porta ad essere adorato dai musicisti della mia generazione. Il rapporto è di profonda stima e amicizia. Nell’ultimo suo disco in solo per chitarra acustica uno dei brani è dedicato a me e questo mi lusinga non poco.

E.: Il 4 agosto 2005 hai suonato al Sant'Anna Arresi Jazz Festival con Pat Metheny, Antonello Salis e Hamid Drake, essendo un fan di Metheny ho la registrazione di quel concerto, meravigliosamente basato su una rete di tessuti musicali improvvisati, che ricordi hai di quella serata? Sei sempre in contatto con Metheny, pensate di realizzare qualcosa assieme, con le vostre due chitarre sarde preparate? Ti confesso di essere molto curioso su cosa Metheny ne possa ricavare …

P.A.: Pat ha utilizzato lo strumento su The way up in sovraincisione. Attualmente stiamo collaborando per sviluppare ulteriormente la tecnologia applicata alla chitarra sarda preparata. Probabilmene quest’anno inizierà ad utilizzarla in una sezione dei suoi live. Sul nostro concerto ho diversi ricordi…la scelta di impostarlo completamente libero, senza fare prove, ha generato dinamiche inaspettate. È stato un bel modo per coronare un incontro ricco di implicazioni emotive (a 16 anni suonavo tutti i suoi brani per ore!). Sul futuro lascio le evoluzioni al caso: la mia parabola artistica non è mai stata calcolatrice nell’impostare a tavolino le collaborazioni.

giovedì 22 gennaio 2009

Recensione di Uotha, Paolo Angeli e Hamid Drake, Nu Bop (2006) di Empedocle70


Uotha (si legge come water) è primo disco del catalogo della recente etichetta discografica Nu Bop Records di Silipo & Mortarino, il cui nome già tradisce un’interesse verso il jazz e la musica afro-americana. Se chi ben inizia è a metà dell’opera, questo disco fa presagire un catalogo di tutto interesse! Deve essere stata infatti una serata eccezionale quella del 4 settembre 2004 al Festival Jazz di Sant’Anna Arresi in Sardegna, una serata che ha visto esibirsi dal vivo due artisti così bravi e allo stesso tempo diversi come Hamid Drake alle percussioni e batteria e Paolo Angeli alla chitarra sarda preparata.
Ascoltando il disco, che è la fedele registrazione della serata, senza trucchi o sovraincisioni, sembra difficile credere che l’incontro dei due sia avvenuto da poco nell’ambito del festival: la loro sinergia musicale e l’intenso scambio che essi riescono a generare lascia a dir poco stupiti per la brillantezza delle idee che riescono a esporre non solo senza apparente fatica, ma con un’interscambio e una interazione strumentale a dir poco notevole. Hamid Drake è un vero maestro nel creare basi poliritmiche torrenziali su cui si innestano senza fatica i suoni incredibili che Angeli estrae dalla sua chitarra preparata. I due si scambiano la palla come due esperti giocatori costruendo ogni volta un gioco di ricami meravigliosi a dimostrazione non solo della loro bravura musicale ma anche della loro notevole apertura mentale: ritmi africani, musica popolare sarda, avangarde, sperimentazione e free jazz scandiscono quella che sicuramente è stata una serata ad alta gradazione musicale.
Un disco intelligente che non si esaurisce al primo ascolto ma che continua a crescere di nuove sfumature ad ogni nuovo giro nel lettore cd, registrazione eccellente e bello il digipack della confezione.
Come dicevo, chi ben inizia…


Empedocle70

Recensione di Linee di Fuga di Paolo Angeli di Empedocle70



Non fate caso al ritardo per questa recensione, il disco è stato pubblicato nel 1997 dall'indipendente bolognese Erosha, ma non c’è problema: dischi come questo non invecchiano nel giro d'una stagione. Circa 45 minuti di esperimenti sonori con un suono curioso ed affascinante che simile a certe idee aliene di Fred Frith oppure a certi colori bizzarri del violoncello di Tom Cora (cui è dedicata una sezione molto emozionante del cd), o certe cose sghembre e un po’ stralunate di Eugene Chadbourne.
Ma qui siamo su altre strade: Paolo Angeli applica una personale e sconvolgente visione alla forma musicale tradizionale e folk. E’ una sintesi maturata da una analisi dettagliata e introspettiva della musica tradizionale per chitarra sarda riuscendo ad estrapolarne particolari profondi e significativi, incrociandola con le migliori forme di avanguardia chitarristica. Il risultato è un caleidoscopio ricco di colori, in grado di emergere e reggersi da solo in piena autonomia artistica.
Linee di fuga è un lavoro che richiede apertura mentale, ma che ripaga l'attenzione con brividi sonori inediti, scusate se è poco.


Vincitore del Concorso Posada Jazz Project.



Empedocle70

Recensione di MEDE di Paolo Angeli (with Dan Breen, Audrey Chen, Mike Evans, Neil Feather, Katt Hernandez) di Empedocle70



“…Senza volontà senza sapere quando sarà una luna nuova, una forte nevicata un temporale, l'arresto che consegue il terremoto…” avete presente l’effetto madeleine di Proust? Ne La ricerca del tempo perduto, il narratore mangia una madeleine e questa risveglia in lui dei ricordi della sua infanzia. Ora. A me i CSI piacciono e molto, ho la loro discografia completa, ma non capisco perché l’ascolto di questo disco di Paolo Angeli registrato all’High Zero Festival di Baltimora in compagnia di altri improvvisatori creativi come Dan Breen, Audrey Chen, Mike Evans, Neil Feather e Katt Hernandez.
Il cd è composto da 4 pezzi con durate tra i 23 e i 4 minuti circa, il pezzo iniziale “Distanze” è un solo dove Angeli dimostra tutta la sua devastante capacità di scienziato pazzo nel tirare fuori ogni sorta di suoni dal suo particolare strumento: le corde possono suonare come un gruppo di ragazzi da Java con xilofoni e gong, o come una tamburo gigante lanciato lungo il fianco di una collina. Il tutto quando nel momento più opportuno spunta l’archetto di un violoncello o una cascata di suoni elettronici a rimescolarvi lo stomaco. Segue un duetto con Daniel Breen lungo un po’ più di 15 minuti, dove Breen suona un clavinet modificato, dove l’approccio e la passione di entrambi porta a quello che potrebbe essere definito un esempio di simpatica libera improvvisazione. Tutto funziona magnificamente anche per i quasi 23 minuti di "Pedoni", eseguito in trio con Feather ai suoi strumenti inventati e Evans alle percussioni: una massiccia scultura sonora a cui forse l’aagiunta di un elemento visivo avrebbe potuto conferire ancora maggiore piacere. L'ultimo pezzo è una breve gita con il violinista Katt Hernandez e la violoncellista Audrey Chen, affascinanti giocatori di una nuova generazione di improvvisatori con una buoba base di musica classica contemporanea nel loro background. Il suono unico di "Pampani" comporta la forte risonanza dei loro strumenti lasciando all'ascoltatore con uno strano senso di “composizione”. Questo disco è una bella lotta.
allora un lampo unisce gli occhi e il cuore con borbottio di tuono, muovono le parole e torna il tempo ritorna l'energia torna la vita, torna il mattino, vuoto …”
caro Signor Proust …. Ma perché i CSI?

Empedocle70

mercoledì 21 gennaio 2009

Omaggio ad Andrés Segovia Venerdì, 30 gennaio 2009 Cantù CO

Venerdì, 30 gennaio 2009 ore 21.00
Collegio “E. De Amicis” , via salita Camuzio 4 Cantù CO

Omaggio ad Andrés Segovia
La Scuola segreta dell’Arte chitarristica

conferenza del M° Mauro Storti


concerto dei solisti e dell’orchestra di chitarre SÀLMAKIS diretta da Marco Pisoni
con la partecipazione del soprano Mata Zerbo


programma musicale:

Dionisio Aguado
Rondò op. 2 n. 2 in La minore
solista Emanuele Girardi

Manuel M. Ponce
Sonatina meridional (Campo – Copla – Fiesta)
solista Michele Rusconi

Andrés Segovia
Divertimento
Manuel De Falla
Danza (da La vida breve)
duo Marta Dolzadelli – Agostino Rapella

Heitor Villa Lobos
Aria Cantilena (da Bachiana brasileira n. 5)
soprano Mata Zerbo con l’accompagnamento di Marco Pisoni

Isaac Albéniz
Rumores de la caleta (da Recuerdos de viaje)
Enrique Granados
Danza spagnola n. 2 (Oriental)
Federico Garcia Lorca
Las morillas de Jaén
Sevilllanas del siglo XVIII
orchestra Sàlmakis con la partecipazione del soprano Mata Zerbo


Mata Zerbo ha studiato canto sotto la prestigiosa guida del soprano italiano Cecilia Fusco, diplomandosi con il massimo dei voti presso il Conservatorio di Palermo. Ha debuttato alla RAI nel 1984 in qualità di soprano solista nell'esecuzione di brani operistici e da camera nel corso della realizzazione della produzione "La vita e la musica di Vincenzo Bellini". Possiede un vasto repertorio, dal Belcanto alla musica da camera, con particolare riferimento al repertorio per chitarra e voce. E’ stata invitata ad esibirsi in molte città italiane riscuotendo sempre grandi successi. Ha tenuto tournée in Europa, Stati Uniti, Sud Africa e Asia, dove ha partecipato ad importanti manifestazioni culturali. All’attività concertistica associa un’apprezzata attività didattica. Vive a Parigi.

Mauro Storti ha iniziato gli studi come autodidatta perfezionandosi successivamente con Andrés Segovia e Alirio Diaz. Ha effettuato numerosi concerti in Italia e all’estero sia come solista che in formazioni cameristiche. Volgendosi principalmente all’attività didattica, ha insegnato lungamente presso varie istituzioni musicali tra le quali, dal 1972, il Conservatorio Statale di Piacenza. Fra il 1979 e il 1983, ha tenuto numerosi corsi e seminari per la SIEM e, in qualità di membro della giuria, ha partecipato a numerosi concorsi internazionali di prestigio quali Radio France di Parigi, Francisco Tárrega di Benicassim (Spagna) e Città di Alessandria. Ha fondato a Milano l’Ateneo della Chitarra nel 1978, e il Centro Didattico “Ora di Chitarra” nel 1995, dando vita alla rivista “I quaderni dell’Ateneo” e al bollettino didattico “Il maestro di chitarra”. Profondo studioso di tecnica strumentale ha realizzato metodologie innovative per lo studio della chitarra, destinate non solo agli studenti di Conservatorio ma anche, in una più ampia visuale di approccio alla musica per mezzo di questo strumento, ai bambini e ai ragazzi della scuola primaria. E’ autore di circa 80 pubblicazioni largamente diffuse anche all’estero, tra le quali spiccano un Trattato di chitarra del 1994 e il più recente SCUOLA DELLA CHITARRA, progetto didattico completo e ragionato per la formazione tecnica e musicale. http://www.chitarraedintorni.eu/

L’orchestra Sàlmakis, ensemble di chitarre classiche, nasce con lo scopo di valorizzare le potenzialità timbriche, ritmiche e polifoniche di un organico a corde pizzicate particolare: gli strumenti dialogano facendo ricorso alla ricchezza espressiva delle vibrazioni più intime e nell’insieme possono far scaturire sensazioni di inusitata e trascinante forza percussiva. La compagine annovera attualmente dodici giovani musicisti professionisti: Flavio Devidé* (solista), Alessandra Bevilacqua, Matteo Cimbro, Tito Ferrari*, Emanuele Girardi, Riccardo Mantegazza, Jacopo Milesi, Andrea Rabolini, Michele Rusconi, Tommaso Sabella, Susanna Signorini, Lara Tortarolo*.

Marco Pisoni, direttore e fondatore dell’orchestra Sàlmakis, si è diplomato in chitarra sotto la guida del M° Mauro Storti ed è laureato in Musicologia. Vincitore di concorsi nazionali ed internazionali ha tenuto tournée in Italia, Europa, Asia, Sud America e Stati Uniti. Ha interpretato i più importanti concerti per chitarra ed orchestra e svolto intensa attività cameristica. Attualmente insegna chitarra all’Istituto “G. Rusconi” di Rho e per IES Chicago presso il dipartimento internazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha inciso cinque CD.

La prima parte del programma della serata è dedicata ad una breve selezione da quel vasto e più vario repertorio solistico che è per sempre legato indissolubilmente alle interpretazioni magistrali di Andrés Segovia, che ne è stato spesso l’adattatore per la chitarra. In seguito, una composizione originale dello stesso Maestro aprirà le porte del programma alla musica cameristica. Fra gli altri brani, Mata Zerbo valorizzerà la Cantilena di Villa Lobos, una sorta di meravigliosa sintesi fra il complesso linguaggio bachiano ed un forte riferimento alla natura brasiliana, in una versione resa celebre proprio da Andrés Segovia nella veste rara di accompagnatore. L’orchestra Sàlmakis propone poi una parte di repertorio esclusivamente strumentale: la danza spagnola di Granados e la Malagueña n. 6 di Albéniz sono opere scritte alla fine dell’Ottocento originariamente per pianoforte, ma sono unversalmente più note nella trascrizione per una o più chitarre. Mata Zerbo ritorna in scena con alcune melodie andaluse, venate di sonorità gitane e armonizzate dal poeta e letterato Garcia Lorca, fucilato durante la Guerra civile spagnola, intellettuale raffinato che pochi conoscono in questa veste di musicista e custode dei tesori musicali popolari della sua terra: la terra di Andrés Segovia.

Recensione di Tessuti di Paolo Angeli di Empedocle70


Per citare il William Gibson di “Neuromante” … “ragazzi, questa è la cosa più calda dal tempo delle fette biscottate!”. E non mi preoccupo di usare la parola CAPOLAVORO per definirlo, siamo sicuramente davanti a uno dei più bei dischi usciti nel 2007 ed è un disco che non deve mancare nella discoteca di nessun appassionato di avanguardie contemporanee. Questo disco è un mondo, un piccolo universo di suoni, perfettamente autosufficienti, integrati, calibrati, sapientemente miscelati, metafisicamente armonizzati, logicamente e creativamente armonizzati tra loro.
Paolo Angeli ci regala un grande disco, registrato con il coraggio che lo contraddistingue, rigorosamente in presa diretta con solo piccoli interventi di sovraincisione, a dimostrazione che la musica, la sua musica, questa musica era già da tempo un fatto ben metabolizzato e definito, tanto puliti sono i suoni e le atmosfere che evoca.
Sono Tessuti, Tessuti sonori quelli messi in mostra in questo disco, dove le dita di Angeli rivelano storie sfiorate, discrete come i sapienti tocchi delle dita stesse e dell’archetto sulla sua chitarra sarda preparata, i giochi d'inseguimento tra i suoni che si arrampicano sulla chitarra che diventa un polistrumento: pianoforte, violoncello, batteria, ghironda. Il disco è un atto di amore verso la musica, attraversato con maturità, intelligenza e una buona dose di umiltà. Si rende omaggio a Fred Frith, nume tutelare di Paolo Angeli e a Bjork, folletto islandese, tra le musiciste più amate dal sottoscritto. Angeli crea un percorso emozionante arrangiando i brani dei due musicisti, scegliendo dei pezzi di non facile interpretazione, riuscendo nella difficilissima operazione di farli propri senza stravolgerli e allo stesso tempo senza portarsi dietro la personalità degli autori.
Cito a memoria le meravigliose Ahead in the sand e Lelekovice di Frith, The Hand that Bites del trio Skeleton Crew (sono sicuro che Tom Cora avrebbe goduto nel sentire questa versione), Unravel, Desired Constellation e HyperBallad di Bjork (per quest’ultima basti dire che la versione di Angeli riesce a cancellare la cover fatta dal Brodsky Quartet incisa in Telegram). Molto belle anche le sei tracce originali, a dimostrazione delle capacità non solo strumentali ma anche compositive di Paolo Angeli che si conferma una delle personalità più espressive e fantasiose del panorama contemporaneo. Messaggio per Fred Frith e Zeena Parkins … rifondare gli Skeleton Crew con Paolo Angeli? :-D

Empedocle70

Recensione di Nita di Paolo Angeli di Empedocle70


Disco particolare questo Nita, l’angelo sul trapezio, seconda uscita di Paolo Angeli con la benemerita ReR. Particolare per il sottotitolo emblematico “an imaginary soundtrack”: una colonna sonora per un film che è mai stato realizato se non nell'immaginazione dell’autore, che si snofda in una lunga serie di tracce - ventitré - che affiancano brani musicali per organici diversi, registrazioni d'ambiente, rumori, proclami e poesie.
Particolare perché non è un progetto solita o per un piccolo ensamble come di solito Angeli ci ha abituato ma anzi vede la partecipazione di un impressionante numero di amici musicisti, da jazzisti come il pianista Fabrizio Puglisi e il sassofonista Edoardo Marraffa, fino a tradizionali cantanti a “tenores” e alla Banda Roncati, passando per artisti di ambito classico e popolare.
Particolare per lo strano susseguirsi dei brani si passa da tracce di leggera strumentalità (”Nita”, “Sorbetto”) a su basi di ottoni, con momenti di tradizione rivisitata (”Cussi No' La Cridia”) e non (”Miserere”), con scenette surreali (”Diamo i Numeri”, “La Mulina”, “L'Angoscia dell'Amore”), con veri estratti sonori dalla vita reale.
Particolare per il duro lavoro in studio che deve aver richiesto, diverso dalle usuali registrazioni live di Paolo Angeli.
Particolare per la sua concezione e per l’elevato numero di citazioni che racchiude, non è solo un grande disco folk che attinge pienamente dalla tradizione sarda, ma risuonano echi free, giri di orchestre mariachi, il prog di Cutler, tempi dispari e poliritmi, la forth world music di Hassell, muri di ottoni, mentre qua e là fa capolino lo Zappa di Hot Ratts e Grand Wazoo.
Un disco creativo, che sottolinea le abilità compositive di Angeli oltre a quelle, ben note, di valido improvvisatore. Non stupitevi se vi sorprenderete a battere il tempo, questo disco fa muovere il corpo. Un punto in più per il bellissimo libretto che accompagna il cd: 28 pagine con grafica e foto stupende! Viene voglia di chiedere se esiste anche la versione su vinile ……..

Empedocle70

Recensione di Bucato di Paolo Angeli (ReR) di Empedocle70


Prima incisione del 2002 per la ReR che vede Angeli alla prese in solitaria con il suo particolare strumento e frutto di una serie di tracce prese da diverse registrazioni live, quasi 66 minuti di musica, quasi un recital a dimostrare le capacità del musicista e del suo strumento.L'album mette insieme in maniera stilisticamente omogenea ma decisamente non monocorde registrazioni concertistiche effettuate in vari tempi e luoghi, il tutto rigorosamente senza sovraincisioni. Ne emergono successioni melodiche, echi di musica popolare sarda, voli di archetto, percussioni sorde in una tale sintesi che a un primo ascolto verrebbe da pensare che a suonare sia almeno un quartetto di strumentisti e che occorre vederlo all'opera per credere che riesca nell'impresa di fare tutto da solo. Un ottimo compendio musicale e un perfetto biglietto da vista, per un disco che non fa che crescere ad ogni ascolto. Unico neo forse l’eccessiva lunghezza del cd e una certa prolisicità musicale che va un po’ a danno delle atmosfere che Angeli riesce a evocare.

Bellissimo il libretto che accompagna il cd con le foto in bianco e nero di Nanni Angeli.

Empedocle70

martedì 20 gennaio 2009

IKONA GALLERY presenta Still Lives. Ritratti da Oswieçim dal 27 gennaio al 22 marzo 2009 a Venezia




Still Lives. Ritratti da Oswieçim
Fotografie di SIMONE MANGOS

Ikona Venezia
Campo del Ghetto Nuovo, Cannaregio 2909

INAUGURAZIONE
martedì 27 gennaio, ore 18.00
DURATA
27 gennaio – 22 marzo 2009
ORARIO
dalle 11 alle 19 – chiuso il sabato
MOSTRA A CURA DI
Živa Kraus, Ikona Gallery
Comune di Venezia



Il 27 gennaio 2009, giorno della memoria dell’Olocausto e della prevenzione dei crimini contro l'umanità, verrà inaugurata a Venezia nella sede di IKONA GALLERY alle ore 18 in Campo del Ghetto Nuovo la mostra: Still Lives. Ritratti da Oswieçim.

Simone MANGOS
Cresciuta in Australia, Simone Mangos si è formata come pianista e quindi come scultrice e artista di installazioni. Nel 1988 si trasferisce a Berlino grazie all’Australia Council Artist. Mangos ha partecipato a numerose esposizioni in Europa, Australia e Stati Uniti.
Nel 2007 il Museum für Fotografie di Berlino ha allestito ha dedicato una personale al suo studio di dottorato sul Memoriale dell’Olocausto di Berlino.


Mangos espone per la prima volta a Venezia, in occasione della Giornata della Memoria istituita nel 2002 per commemorare la Shoah e prevenire i crimini contro l’umanità, scegliendo la data del 27 gennaio, giorno della liberazione del campo di Auschwitz.

Arrivando ad Auschwitz ci si sente confusi. Prima di tutto si scopre che in realtà si chiama “Oswięcim” un nome polacco. Si vedono gli abitanti al lavoro nelle banche intorno alla piazza, gestire fast-food, saloni di parrucchiere o vendere automobili, eppure tutto sembra irreale. È quasi impossibile riconciliare la banalità della vita quotidiana con la straordinarietà mostruosa del luogo. È come se chi ci abita venisse da un altro pianeta.
Still Lives. Ritratti da Oswieçim
Simone Mangos non è arrivata a Oswięcim da turista. Voleva uno sguardo sulla vita di tutti i giorni, sui cittadini immersi nel loro tran-tran, sulla gente comune cui è capitato di nascere e vivere in una città con un nome divenuto sinonimo di omicidio di massa industrializzato.
Mangos arrivò a Oswięcim nel novembre 2008 con in tasca un biglietto in polacco in cui spiegava il suo desiderio di fotografare Oswięcim e i suoi abitanti per fare un ritratto della città. Notò prima di tutto che molte persone, in particolare della generazione più anziana, non gradivano l’idea. Poi scoprì molti giovani prontissimi a posare, come fossero stati scelti per una rivista di moda. Niente del genere.
Mangos voleva registrare il vero aspetto di Oswięcim, sapendo che solo l’immediatezza della fotografia avrebbe saputo trasmetterlo.


Download: Locandina Foto

L’evento è curato da Živa Kraus, fondatrice e direttrice di Ikona dal 1979
Ikona Venezia Tel +39 0415289387 mail@ikonavenezia.com

Speciale Paolo Angeli: La chitarra sarda preparata


















Paolo Angeli è un chitarrista e compositore, che da circa quindici anni svolge una costante attività live a livello mondiale, portando avanti una ricerca espressiva che va dal free jazz, all’improvvisazione radicale, alla musica sperimentale d’avanguardia.
Attraverso un lavoro di costante modifica e sviluppo della chitarra sarda durato più di dieci anni e tutt’ora in corso, ha realizzato uno strumento con caratteristiche così peculiari (forma, tecniche esecutive, capacità timbriche) da poter essere definito come “nuovo”, e che ha battezzato: chitarra sarda preparata. Lo strumento è divenuto l’elemento fondamentale ed il “motore” della sua poetica ed ha influenzato profondamente gli obiettivi estetici raggiunti dall’attività di produzione musicale svolta nel corso degli anni.
Paolo Angeli si inserisce dunque nella tradizione degli strumenti preparati ma lo fa in maniera molto particolare: il metodo di lavoro da lui scelto per dar forma al nuovo strumento è stato quello della fusione di strumenti differenti: chitarra, violoncello, pianoforte, batteria, ecc. L’ibridazione è il meccanismo che ha caratterizzato il processo di realizzazione del nuovo strumento, un’ibridazione che non ha riguardato solo la forma fisica e che ha prodotto un risultato che è ben più che la somma dei singoli strumenti. Il motore e la causa scatenante dell’inizio di questo percorso è stato l’incontro-scontro tra due tradizioni assai differenti (la tradizione sarda e la sperimentazione delle avanguardie europee), da cui è nato uno strumento che Angeli definisce cosi:

...un ibrido tra chitarra, basso acustico, violoncello e batteria; ha i martelletti come il pianoforte (azionati da cavetti di bicicletta applicati a sei pedali), ha una manina
meccanica per le corde trasversali che mi permette di realizzare le parti ritmiche, ha
quattro corde di Sitar montate su un ponte di contrabbasso, ha delle eliche per
ottenere i bordoni e la tengo stretta tra una gamba e l'altra, come un violoncello.


Tratto dalla tesi di laurea di Stefano Bonelli “La chitarra sarda preparata Uno studio di caso per investigare la relazione tra strumenti ed attività di produzione musicale, secondo i principi della scuola storico-culturale”

http://www.bonellistefano.it/


Paolo Angeli ad Anghiari

Speciale Paolo Angeli: La chitarra Sarda e le tradizioni musicali sarde


Il presente testo è stato ricavato dalla Tesi di Laurea di Stefano Bonelli “La chitarra sarda preparata Uno studio di caso per investigare la relazione tra strumenti ed attività di produzione musicale, secondo i principi della scuola storico-culturale”

http://www.bonellistefano.it/

Risale ad alcuni secoli la presenza della chitarra in Sardegna, dove veniva utilizzata quasi esclusivamente per accompagnare il canto, nelle forme più vicine alla tradizione iberica (su cantu a chiterra, sas serenadas, più tardi sas poesias improvvisadas, ecc.). Le particolarità della chitarra sarda riguardano la forma della cassa e la dimensione notevolmente più grande della chitarra classica, il battipenna intagliato e decorato con motivi floreali, ma anche l'accordatura detta “sarda”, in cui l’intonazione è più bassa. Fino alla fine del XIX secolo pare che esistesse ancora in Sardegna la chitarra a 4 corde, detta “quartina”.
Esistono due tecniche di esecuzione, quella con il pollice che esegue la linea melodica del canto mentre indice e medio eseguono l’accompagnamento vero e proprio; la tecnica del plettro è invece quella oggi più diffusa, e consente virtuosismi tra una strofa cantata e l’altra. Nelle realtà meno frequentate dalle popolazioni di origine spagnola (cioè i piccoli paesi, e i centri dell’interno), il canto veniva eseguito senza l’ausilio di strumenti (cantu a tenores, a concordu, ecc.). La musica di accompagnamento al ballo era invece eseguita in principio dalle launeddas, dal canto a tenores, da altri strumenti a fiato, da percussioni, ed infine dalla fisarmonica. Da uno studio di Mariano Mele (Tradizioni etno musicali della Sardegna) rileviamo che la chitarra è presente in Sardegna almeno dal XVI secolo, tanto che nello Statuto del Gremio dei Falegnami di Oristano risulta che ne facessero parte anche i “chitarrari” (inteso come liutai). Ancora, nel 1598 un decreto del Viceré di Sardegna vietava di suonare la chitarra dopo il rintocco della campana vespertina. Infine, qualche decennio più tardi, troviamo la notizia di un giovane nobile di Cagliari morto dopo una nottata di bagordi e canti e balli accompagnati dalla chitarra.
Breve storia de “su cantu a chiterra”: Dopo secoli di affinamento delle tipologie di canto a chitarra, eseguite nelle riunioni conviviali, è soprattutto nel corso del Novecento che si diffondono in tutta la Sardegna le gare di canto a chitarra dal palco (quasi sempre in occasione delle feste patronali), e pertanto si stabiliscono delle regole precise. In una gara di "cantu a chiterra", generalmente, si confrontano tre “cantadores” accompagnati da un chitarrista e, più raramente, anche da un fisarmonicista (dotato del cosiddetto organeddus a buttones). La gara comporta l’esecuzione di 12 tipologie di canto divisi in 7 sezioni, che si susseguono secondo un preciso ordine. Per ogni tipo di canto, ciascun cantadore esegue una sola strofa per volta, alternandosi con gli altri concorrenti (di solito toccano tre strofe a testa).
Oltre ai canti suddetti, esistono molti altri tipi di canto sardo accompagnati dalla chitarra. A Sassari le ironiche “gobbule”, tra quelli diffusi nel Sud dell'isola ricordiamo il canto a "curba", a "torrida" e a "muttuttu", per lo più eseguiti all'interno della “cantada” campidanese; diffusi in tutta l’isola sono anche “sos mutettos a trallallera”, “sas battorinas”, “su dillaru”, “sos frores”, e altri ancora. In generale, i testi dei canti sono per lo più tratti dalle poesie dei più grandi poeti sardi, ma non è raro che attingano alla vena o all’improvvisazione dei cantadores.
Ozieri e “su cantu a chiterra”: Il rapporto tra Ozieri e la chitarra è antico senz’altro quanto la presenza spagnola nell’isola (i catalano – aragonesi giunsero in Sardegna nel 1323, e si insediarono ad Ozieri e nel Monte Acuto a partire dal 1420 circa). Da uno studio di Giangabriele Cau (I pionieri della discografia cittadina) si rileva una importante testimonianza storica afferente al giugno del 1624, che vede il nobile Thomas Locano, nipote del gerente del feudo sardo di Oliva (di cui faceva parte anche Ozieri), trascorrere con gli amici don Francisco Tola Porcu e altri cavalieri di Ozieri, la propria convalescenza in città allietando le giornate estive con il canto a chitarra. E’ proprio in paesi come Ozieri (in cui la presenza spagnola era
importante, ed era presente un ceto abbiente che poteva permettersi uno strumento musicale) che nasce e si sviluppa il “canto a chitarra”, che raggiungerà il suo massimo successo a cavallo tra Ottocento e Novecento, con protagonisti che restano indelebili nella storia culturale della Sardegna (tra cui citiamo Maria Rosa Punzurudu e, nel secondo dopoguerra, Maria Teresa Cau).
Accompagnati spesso dalla chitarra erano anche i poeti improvvisatori, di cui Ozieri fu un po’ la culla (la prima gara dal palco avvenne in città nel 1896), con i grandi Giuseppe Pirastru e Antonio Cubeddu, oltre ad un’ampia schiera di personaggi meno noti al pubblico di oggi, ma che in passato si esibivano ugualmente dal palco. La notorietà di cui godevano i cantadores in Sardegna era tale che i migliori sentirono l’esigenza di venire incontro alle richieste del pubblico con delle incisioni discografiche. E’ nota la seduta di registrazione avvenuta nel 1931 circa a Milano, presso gli studi della casa discografica "Excelsius", da parte degli ozieresi Giuseppe Langiu (1898 - Sassari 1972) e Antonio Bellu (?) che, singolarmente e in coppia, con l'accompagnamento del famoso chitarrista Nicolino Cabitza di Ploaghe e, talvolta, del fisarmonicista Celestino Fogu. registrarono dei canti in Re a s’Othieresa e a sa Nuoresa, dei Mutos, degli Amenti galluresi al Mi e la, una Disisperada logudoresa a sa Piaghesa, nonché alcune canzoni estemporanee. Sempre a Milano, il 23 maggio 1932, negli studi della casa "Grammofono" (ridenominata qualche anno dopo "La voce del padrone"), fu la volta dell’ozierese Maria Rosa Punzurudu (1887 - 1964) che, in coppia col collega Gavino De Lunas incide pochi ma memorabili canti con l’accompagnamento del chitarrista Nicolino Cabitza. Sul finire degli anni Trenta è la volta del grande poeta improvvisatore Antonio Cubeddu (1863 - Roma 1954), ritenuto l’inventore delle gare di poesia estemporanea dal palco (in occasione della Festa della B.V. del Rimedio del 1896, a Ozieri). A distanza di qualche decennio (tra il 1961 ed il 1964) E’ un’altra cantante ozierese, Maria Teresa Cau (1944 -1977), che chiamata dall’esperto cantadore Leonardo Cabitza a fare parte del "Quartetto Logudoro" incide con loro per la "Vis Radio" di Napoli ventiquattro brani.
Negli anni successivi, la tradizione ozierese subisce delle battute di arresto in termini di esecutori, ma si rafforza in termini organizzativi e di prestigio. E’ perciò fondamentale ricordare l’esistenza del concorso Usignolo di Sardegna (tenuto in occasione della festa del Rimedio) nato nel 1964, ancora oggi vero epicentro del “canto a chitarra” sardo. Nel 1999 Giovanni Perria ha pubblicato L'Usignolo di Sardegna, un libro dedicato alla storica manifestazione di Ozieri. Riguardo lo studio de “su cantu a chiterra”, ha svolto un ruolo di rilievo l'Ente Musicale di Ozieri, fondato nel 1988. Pur essendo una delle Entità più importanti della provincia di Sassari nel campo dell'organizzazione dei concerti di musica classica, ha promosso importanti ricerche etnomusicali, accompagnate da programmi di divulgazione del canto di tradizione orale nei territori del Monte Acuto, Goceano e Meilogu, con eccellenti risultati (ha anche costituito un importante archivio sonoro) e consentendo la pubblicazione dei testi "La chitarra e la musica popolare nel Monte Acuto", "I Canti popolari del Goceano" e "I Canti popolari del Meilogu", richiestissimi dagli studiosi e dagli appassionati di varie parti del mondo, grazie anche al testo sardo-italiano-inglese. Altra associazione importante è l’Associazione Remintinde, nata a Sassari nel 1991 (ma con importanti presenze a Ozieri), che si occupa del “canto a chitarra”, sotto la regia del noto chitarrista Nino Manca, ozierese di adozione. Ha collaborato con la facoltà del DAMS (Discipline Arte Musica Spettacolo) dell’università di Bologna. In città sono anche presenti l’Associazione “Chent’annos” per la divulgazione della poesia sarda improvvisata, e l’Associazione “Amigos de su cantigu sardu – Maria Rosa Punzurudu” per la divulgazione del “canto a chitarra”.



Tra una gamba e l'altra (Paolo Angeli)