giovedì 11 dicembre 2008

Recensione di FilmWorks XX: Sholem Aleichem di John Zorn di Empedocle70



Questa volta l'orecchio e l'attenzione di John Zorn si concentrano sulla figura carismatica di Sholem Aleichem, vero nome Shalom Rabinovitz, nato a Perevalsk, Ucraina nel 1859 e scomparso a New York nel 1916, scrittore di lingua yiddish, autore di romanzi sulla vita nei ghetti dell'Europa centrale, fine satirico, raffinato novelliere delle tristi realtà est-europee all’inizio del XX secolo, diventato famoso al pubblico grazie al suo, ormai celeberrimo, Tewjè, lattaio protagonista di una lunga serie libraria fra il 1894 e il 1916, personificazione delle difficoltà quotidiane sopportate da un individuo medio che, nonostante tutto, riesce a superarle grazie al gioco, allo scherzo e all’amore. Comicità sì, ma sempre pervasa da un’aurea nera, da un chiaroscuro umorale molto particolare.
In questo caso egli viene omaggiato da un documentario, successivamente musicato dallo stesso Zorn che, come da sua consuetudine da un po’ di anni a questa parte per la collana Filmworks, si “limita” a scrivere le musiche lasciandolo poi suonare ad altri eccellenti musicisti di chiara estrazione ebraica che orbitano attorno alla sua figura carismatica.
Complimenti a Zorn che continua implacabile nella sua opera di sperimentazione abbinata al linguaggio cinematografico attraverso colonne sonore realizzate per film underground, piccoli cortometraggi ed autobiografie d’impatto mediatico pressoché nullo. Un lavoro indefesso e maniacale che arriva a pochi mesi dal precedente, notevole “The Rain Horse” e che è già stato seguito dal capitolo XXI della saga Filmworks intitolato “Belle de Nature - The New Rijksmuseum”.
Zorn non si espone come musicista, ma in compenso troviamo dei nomi strepitosi, dei veri virtuosi come Rob Burger alla fisarmonica, Carol Emanuel all’arpa e addirittura il Masada String Trio al completo.
Per questo disco Zorn ha inventato per noi una musica leggera e allo stesso tempo multiforme ed umorale. Inevitabile porre dei confronti non tanto fra lo scrittore ed il film, quanto fra la personalità di Aleichem ed il suo "commento" musicale. Ecco dunque che questo eterno contrasto, questo strambo retrogusto dolceamaro tipico della prosa di Aleichem si rispecchia pienamente in questi dodici, nuovi, differenti temi. L’apertura è fulminante: in “Shalom, Sholem!” fisarmonica e violoncello si rincorrono e si intrecciano, sfumando malinconicamente su un tappeto di respiro assai più ampio e concentrando così, in poco più di due minuti, una quantità di immagini visive impressionante.
Eccezionale è il lavoro di Carol Emanuel: “Nekubolim”, di una profondità e di uno spessore musicale impressionanti, si eleva ulteriormente proprio grazie all’arpista statunitense, che ne arricchisce la struttura con luminose trine semplicemente bellissime all’ascolto. Lo stesso accade per “Mamme Loshen”, più crepuscolare e cadenzata, klezmer screziato di sirtaki, nulla da contestare anche in “Lucky Me, I’m An Orphan!”, dal tessuto semplice e vibrante, con un violino libero di svariare per ogni dove. Musica quindi piacevole, lontana da certi manierismi e eccessi sperimentali a cui Zorn ci ha, piacevolmente, abituato nel corso della sua carriera. Musica leggera da ascoltare e bere di un fiato solo, senza annoiarsi e, forse, senza troppo impegnarsi in congetture, voli interpretativi, analisi dietrologiche.
Attendo con ansia il prossimo volume.




Empedocle70

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