lunedì 22 dicembre 2008

Ravi Shankar: ragas and talas parte prima di Empedocle70

«Quando comincio a suonare un Raga, escludo tutto il mondo circo­stante e cerco di scavare nelle profondità del mio io. Dopo essermi isolato dall'esterno con controllo e concentrazione, varco la soglia del Raga con umiltà, rispetto e timore. Secondo me, un Raga è come un essere umano, ed è perciò necessario un lento processo per creare quell'intima unione tra musica e musicista.
Quando questa unione viene raggiunta, si creano una félicità ed un'estasi simili al momento supremo dell'atto d'amore o di adorazione".

"Nella musica classica indiana la parola 'composizione' ha un significato assai diverso da quella europea. Noi suoniamo con un vecchio sistema tradizionale. La forma melodica, il Raga, è una forma precisa, scientifica, sottile ed estetica. Esistono migliaia di Rágas, ognuno strettamente connesso ad un parti­colare momento del giorno o ad una stagione dell'anno. La durata è variabile, può essere di 5 come di 50 minuti, non esistono restrizioni. Dipende dalla situazione ambientale e dall'umore che il musicista avverte tra il pubblico. Scelgo sempre il Rága adatto all'occasione, e così rispondo al luogo e alla gente che ho intorno.
Una volta fissate determinate regole l'artista nel Ràga ha una libertà totale. Dentro la struttura di base, Alap, Jod, Gat, si può improvvisare a piacere... Nessuna cosa al mondo è più precisa e profonda del Rága indiano, disciplinato come un computer. Riflettendo su questo, l'occidente potrà comprendere meglio la nostra musica".

Ravi Shankar ‑ Venezia, aprile 1991 dal booklet del cd Ravi Shankar in Venice, Edelweiss 1991

Siano benedetti gli appassionati di musica e di live recordings, specie quelli di matrice britannica! Qualche giorno fa al ritorno dal lavoro ho trovato un prezioso pacchetto nella buca delle lettere con all’interno tre registrazioni live di Shankar, due delle quali dall’ultimo infinito tour del 2005 che, alla bella età di ottantacinque anni in compagnia della figlia Anoushka Shankar, anche lei al Sitar, Tanmoy Bose alle Tabla e Nick Abel e Peter McDonald alle Tambura, l’ha visto con entusiasmo giovanile e foga da rock band girare ogni angolo del mondo.

Anoushka Shankar - Concert for George (2003)




Da notare poi che non si era trattato di un tour d'addio alle scene, ma anzi di un altro increbibile atto di dedizione alla musica da parte di un artista che ancor oggi rimane un indispensabile punto di partenza per chiunque voglia penetrare i misteri della cultura musicale indostana, un’entità fondata sul raggiungimento di un perfetto equilibrio tra componenti fisiche, mentali, emotive e spirituali e con alla fine una morale interessante: l'influenza di Shankar è stata notevolmente più forte sulla musica occidentale che non sullo sviluppo della tradizione del suo paese. Quattro nomi celebri, Philp Glass, John Fahey, John Coltrane e George Harrison, sono la conferma palese dei fascino che Shankar ha saputo esercitare sul loro modo di intendere sia la vita sia l'universo dei suoni. Ma l'aver saputo incidere su personaggi così dissimili, ciascuno di essi principe di un genere musicale considerati, almeno sino agli anni Sessanta, agli antipodi tra loro come il minimalismo, l’avant folk, il jazz e il rock non può essere un semplice caso fortuito e conferma la personalità magnetica di Shankar e la sua visione musicale cosmopolita e aperta, elementi decisivi per la sua affermazione sulle scene internazionali. I critici e i musicologi indiani, in fondo gli unici a poter esprimere un giudizio compiuto e inappellabile sulle sue qualità artistiche, sono sempre stati unanimi nel ritenerlo sì un ottimo sitarista ma non il migliore in assoluto, titolo da suddividersi equamente tra gli scomparsi Vilayat Khan e Nikhil Banerjee, i quali hanno saputo introdurre innovazioni sia sul piano formale e stilistico sia nella meccanica stessa del sitar. Di Shankar, al contrario, si sottolinea piuttosto il purismo e l'ortodossia nell'approccio allo strumento, controbilanciato peraltro da un'innegabile tendenza a sperimentare nuove forme compositive (diversi raga oggi considerati dei classici sono di sua creazione). E saranno proprio queste ultime ad attirare in misura maggiore i musicisti occidentali dei più diversi ambiti, dando a Shankar l’investitura ufficiale di ambasciatore internazionale della musica indostana sin dagli anni Cinquanta, a partire da un tour sovietico del 1954 patrocinato da una missione culturale dello Stato indiano. L’anno seguente ha la possibilità di tenere concerti negli Usa ma inspiegabilmente vi rinuncia e il suo posto viene preso dal virtuoso di sarod Ali Akbar Khan che si esibisce a New York e in programmi televisivi oltre a registrare per la Emi. Pur non esistendo alcuna forma di rivalità tra i due, come testimonieranno in seguito molteplici prove discografiche comuni, Shankar si accorge presto dell'errore. Vi pone rimedio alla fine del 1956 allorché, in perfetta solitudine, intraprende un giro di concerti in Europa e America che suscitano forte interesse nel pubblico, come altrettanto riscuotono i suoi primi lp incisi nel 1957, il preludio a una carriera da front man che lo porterà d'ora in poi a girovagare senza sosta per il pianeta nei decenni a venire, anche se il legame con la propria terra non verrà mai meno e sarà continuamente riallacciato.



continua domani ....

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