venerdì 25 luglio 2008

Speciale Emanuele Forni: Intervista di Empedocle70 parte seconda

E: Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornane a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
EF:L’improvvisazione é determinante per trovare sempre nuovi spunti o motivazioni per lasciarsi sorprendere. Come tutte le pratiche però, va coltivata, studiata ed elaborata. Essere un bravo improvvisatore vuol dire aver assimilato uno stile talmente bene da poterlo variare a piacimento in quanto il vocabolario é interiorizzato, altrimenti si rischia di essere ripetitivi o una copia. Purtroppo non si può fare tutto e il mero fatto di assimilare lo stile di un musicista é uno studio molto lungo. A Basilea ho conosciuto Rudolf Lutz, un improvvisatore incredibile, in particolare nello stile tardo barocco: penso che abbia assimilato gran parte delle partiture di questo periodo e quindi riesce tranquillamente a tenere banco per ore con il suo clavicembalo in modo originalissimo, ma ha studiato una vita per riuscirci, tralasciando altre pratiche. Mi viene in mente anche un’altro esempio interessante: qualche tempo fà ho suonato con un famoso jazzista di Milano, ad un certo momento ho proposto una romanesca (brano standard per i barocchisti che consiste in un basso ostinato sul quale creare diminuzioni). Mi ha confidato alla fine del concerto di non riuscire a trovare idee valide per quel brano in quanto forma chiusa troppo breve e troppo ripetitiva. Questa dichiarazione mi aveva fatto riflettere: chi studia improvvisazione in un certo stile, può non essere a proprio agio in uno stile differente. Chissà cosa avrebbe creato Parker su un raga indiano?

E: Lei si è diplomato all’ Hochschule der Künste di Berna con Elena Càsoli, quale stata la sua esperienza in questa scuola? Quali sono le sue caratteristiche rispetto a un Conservatorio Italiano?
EF: L’esperienza a Berna é stata estremamente formativa e mi ha dato la possibilità di scoprire mondi sonori che non avrei mai potuto approfondire in un’istituzione Italiana. Quando ho iniziato a lavorare sul repertorio contemporaneo mi sono accorto che il mio interesse era attirato dalla trasformazione del suono: riuscire a suonare una chitarra in modo tale che non si potesse riconoscere immediatamente tutte le sue caratteristiche, quindi l’elettronica. Con l’aiuto fondamentale di Elena Casoli e della sezione di “Musik und Medienkunste” sono riuscito a suonare tante partiture che sarebbe stato impensabile fare in un conservatorio italiano per questioni logistiche, di disposizione di materiali ed in certi casi di competenze. Elena mi stimolava per il repertorio e la parte chitarristica, mentre lavoravamo in team col dipartimento per trovare le soluzioni migliori per la parte di elettronica. Avere a disposizione uno studio per le prove, laptop per studiare, schede audio, audio interface, cavi, programmi... Chi lavora con l’elettronica conosce il problema. Senza parlare della qualità delle lezioni e della dedizione dei docenti all’attività degli allievi. In Italia mi ricordo insegnanti che passavano ore al cellulare, questo sarebbe semplicemente inconcepibile in una Hochschule.

E: Sono rimasto stupito dalla sua versatilità come strumentista: chitarra elettrica, classica arciliuto, come riesce a gestire questo parco di chitarre?
EF: ....studiando! é chiaro che l’integrazione di un nuovo strumento é un passaggio molto complicato e richiede tempo; é anche evidente che non si può riuscire ad avere una tecnica virtuosistica su 10 strumenti diversi ma, con un po’ di pazienza, si riesce ad avere un buon controllo su strumenti differenti che utilizzano diverse tecniche. C’é ovviamente un rovescio della medaglia: ci sono chitarristi che hanno in repertorio (e a memoria!) 20 concerti standard per chitarra e orchestra, io questo lo devo ancora riuscirlo a fare.

E: Ci vuole parlare un poco dei suoi strumenti?
EF: Credo che ogni musica sia legata ad un particolare strumento adatto a valorizzare le sfumature legate al pensiero del compositore ed allo stile di un’epoca. Cerco di utilizzare lo strumento specifico richiestomi in partitura oppure quello che si possa accostare meglio, di modo da ricreare una specifica sensazione. Non amo molto le trascrizioni se non quelle autorizzate dall’autore e mi risulta difficile ascoltare o suonare qualcosa che non tenga in considerazione lo strumento per cui una musica é stata scritta: sarebbe come suonare Hendrix con una Gibson o con un liuto barocco. Il suono é una parte essenziale: se non si tiene in considerazione questo parametro si rischia semplicemente di perdere qualcosa o di aggiungere un sapore estraneo, poco attinente o addirittura forviante. Come chitarre elettriche posseggo una Fender Stratocaster, una Fender Telecaster ed una Parker Mojo Fly; come chitarre classiche una Masaru Kohno del 1977, una Roberto de Miranda del 1986 ed una Cuenca r50 del 2000; come chitarra acustica una Robert Taylor n 110 del 2001. Per la musica antica utilizzo un arciliuto su modello Venere di Andreas von Holst del 2001, una tiorba su modello Magno Tieffenbrucker sempre di Andreas von Holst del 1997 ed un liuto medievale di Richard C. Earle del 1985. Suono anche un charango di Sabino Huaman del 1999, un banjo ed un buzuki di ottima fattura ma di liutaio ignoto Per l’amplificazione delle elettriche prediligo Fender Twins Reverb e Marshall valvolare testata + cassa. Per l’amplificazione delle classiche (in alcuni contesti essenziale) non sono ancora riuscito a trovare qualcosa che mi soddisfi. Sarei veramente grato a colui che mi sappia indicare una buona e pratica soluzione.

..segue..

Nessun commento: