sabato 2 febbraio 2008

Ancora sull’esercizio di trasposizione modale da ‘El testament d’Amelia’

Una trentina d’anni fa, esattamente nel 1976, Guido Almansi e Guido Fink pubblicarono presso l’editore Bompiani un libro dedicato alla parodia letteraria con un titolo, come dire, altamente simbolico: ‘Quasi come’. Nell’introduzione essi scrivevano: “I testi sono sistemazioni provvisorie, tende da nomadi che si spostano da un luogo all’altro nel deserto, e i (‘plagiari’) sono i beduini che assicurano la circolazione delle idee.. Difendere la sacralità di un testo significa assicurarne la morte, condannarlo a un polveroso scaffale di biblioteca. Difendere il plagio significa invece assicurare al testo una metempsicotica vita..’ Ovviamente, però, come appunto suggerisce il titolo del libro, plagiare non significa copiare, tutt’altro! Cito ancora: ‘La scrittura (ma possiamo allargare il concetto coinvolgendo qualsiasi manifestazione artistica) non è tanto ‘dire’ qualcosa (infatti non c’è mai niente di nuovo da dire), quanto ‘far dire’ agli altri altre cose, rendere Virgilio cristiano o Dante risorgimentale o Shakespeare victorhughiano e così via..’. In altre parole, arrogarsi la ‘sconsiderata libertà’ di manipolare i testi, agendo come se l’autore volesse, o meglio avesse voluto dire, quasi come se intendesse, o meglio avesse inteso..



Dice Girolamo De Simone nella sua ‘Storia estetica del plagio musicale’, di cui consigliamo l’integrale lettura:
http://www.konsequenz.it/Estetiche%20del%20plagio/15%20Storia%20estetica%20del%20plagio.htm



‘Il plagio artistico consiste nella veicolazione gratuita di idee e atmosfere musicali: non si tratta della mera copia, naturalmente. La diffusione di uno ‘stile’, infatti, non ha nulla a che vedere con una copia, e pertanto evita di pagare qualsiasi pedaggio. Dal punto di vista filosofico, attraverso la gratuità dell’offerta, il plagio artistico consente di sfuggire alla logica dello scambio, con la prassi del dono unilaterale gratuito. Io do una cosa a te, e basta: tu nemmeno sai chi sia a dartela, si tratta di un contributo alla storia del progresso comunitario.’
Venendo a parlare nello specifico di questa ‘parodia’ musicale, devo innanzitutto rimarcare il fatto che questo pezzo, pur divenuto nella versione di Llobet un classico del repertorio chitarristico, non è (significativamente!) un brano originale, bensì, appunto, la trascrizione di una canzone popolare catalana.. (Guarda! Guarda! quando Almansi e Fink parlavano di testi che sono sistemazioni provvisorie che si spostano da un luogo all’altro..). Devo poi aggiungere che il lavoro di variazione-manipolazione da me svolto è, a mio avviso, più profondo e significativo di quel che può sembrare a prima vista.. Come sottolineava nel suo manuale sul contrappunto Diether De La Motte, ‘siamo sorpresi nel constatare quanto la configurazione ritmica di una melodia definisca la nostra impressione generale, mentre saremmo portati a ritenere come caratteristica più importante di una melodia la successione delle altezze in quanto tali’. In questo caso, non tanto e soltanto la configurazione ritmica della melodia resta abbastanza simile fra il tema originale e quello variato, quanto e ancor più la configurazione ritmica dell’accompagnamento risulta volutamente identica: insomma si è cercato di mantenere per quanto possibile la stessa ‘impressione generale’, per usare il termine di De La Motte, relativamente ad entrambi i brani. Per poi sfidare a cogliere le differenze..: il brano originale è in modo minore, quello nuovo in una delle strutture ‘neomodali’ di cui parlo nel piccolo saggio



'Su Giullaresque ed altro: musica modale (e neo-modale)', il modo definito pseudomisolidio, che fra l’altro è un modo di tipo maggiore... Conseguentemente l’intera sequenza accordale è profondamente diversa, anche perché in questa musica ‘neo-modale’ non ci sono più i tipici accordi funzionali dell’armonia tonale (semmai un loro ‘surrogato, ma a questo proposito è meglio rimandare direttamente coloro che fossero interessati ad una lettura del saggio sopra citato)…



In conclusione, penso sia giusto correggere in parte quanto ha scritto Fauvel nella sua presentazione: questo brano è scritto non ‘come avrebbe potuto fare Llobet’, ma.. ‘quasi come avrebbe potuto fare Llobet’.. o meglio, a guardar bene le cose, col senno di poi, quasi come non si sarebbe mai azzardato a fare.. Plagio?




Fausto Bottai

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