mercoledì 30 gennaio 2008

Fauvel presenta ‘Lo specchio degli specchi’ di Sergio Pes

Molto spesso si è scritto (e si scrive) dei poeti e più in generale degli scrittori del XX secolo quel che Sergej Averincev scriveva di Mandel'stam: ciò che colpisce in questo poeta 'è l'acuta tensione tra il principio del senso e l'oscurità.. Una contraddizione che rimane sempre quale è, profonda.. Sia l'istanza 'significazionista', sia la vita della 'beata parola sensa senso', restano là, contestandosi l'un l'altra, mutando inaspettatamente di collocazione..'. Ho citato questa frase del tutto e volutamente a caso: è la prima che ho incontrato, casualmente, appunto, fra le tante che avevo trascritto su un quadernetto in cui parlavo di queste cose.. Infatti non si può certo dire che questa caratteristica contraddistingua il solo Mandel'stam nel panorama della poesia del '900!

Il difficile rapporto fra 'senso' e 'oscurità', o, come dicevano i surrealisti, fra 'buon senso' e immaginazione', ha impegnato 'nelle viscere e nel sangue' tutti i poeti contemporanei, dai simbolisti in avanti, praticamente senza eccezione, tranne certi recuperi 'ottocenteschi' nell'alveo del 'realismo', socialista e non. E non credo possa trattarsi di 'una simbiosi a-problematica, in cui gli estremi di razionalità coesistono pacificamente con gli estremi dell'anti-intellettualismo'.

Mi pare che questa 'coesistenza pacifica' sia negata dalla natura stessa delle cose: ogni immagine poetica, ma direi più genericamente ogni segno che devia dalla 'strada maestra' del senso, o buon senso, ad esso oppone brutalmente la propria 'oscurità' e in questa opposizione risiede la sua identità, il suo certificato di nascita. Riemerge il tema del disagio, della 'paura' che non può non suscitare ciò che è oscuro, di fronte al bisogno, direi naturale nell'uomo, di capire. Capire: pensiamo un attimo all'etimo di questo verbo, lo stesso da cui deriva capienza.. Si tratta, cioè, del bisogno di contenere, di spostare i confini della conoscenza fino all'inglobamento di tutti i segni, di tutti i dati che la realtà ci sottopone, in un sistema, in un contesto in cui essi siano situabili e quindi riconoscibili. Il difficile sta nel fatto che questo 'contenitore' non è un oggetto, uno spazio fisico delimitato, esso stesso riconoscibile in termini privi di ambiguità, di contraddittorietà.

Con esso si stabilisce l'esistenza di una linea di confine, sì, ma instabile, incerta, sottoposta a continui mutamenti. Prima di tutto di carattere soggettivo: la parola senso ha la stessa matrice di sensibilità.. Insomma, perché a certi segni venga riconosciuto un senso, bisogna che ci sia una capacità individuale (sensibilità) che permetta di coglierlo. Quindi una capacità legata ad una serie di determinazioni contingenti, per es. di carattere sociale, storico, antropologico e via dicendo. Tutto questo per concludere brevemente, altrimenti il discorso si avvia su troppo irti sentieri, che non sempre bisogna spaventarsi per ciò che appare a prima vista 'deprivato di senso', anche se è altresì sbagliato pensare.. che sia giusto non spaventarsi affatto, perché comunque il conflitto senso-nonsenso avverrebbe, paradossalmente, all'insegna della 'coesistenza pacifica'... Tanto per fare un esempio, i musicisti hanno dibattutto per secoli intorno alla natura dell'intervallo di terza maggiore: consonante? dissonante? Secoli, ripeto, perché l'orecchio si abituasse a percepire in un certo modo una semplice sovrapposizione di suoni! L'orecchio, s'intende, della maggior parte, anzi alla fin fine di tutti gli uomini, per lo meno di quelli che appartengono ad una comune tradizione culturale.. E' che la 'natura' non offre sempre su un piatto d'argento la soluzione dei problemi. Qualche volta bisogna conquistarsela..


Fauvel




LO SPECCHIO DEGLI SPECCHI


Poiché s'annoia, l'involuto scrittore mai nato, sogna sogni fetali incongrui come coriandoli immerso nel suo liquido soporifero. Sogna di essere nato? Sogna sé bimbo? Allora si sogna in tutte le fogge e in tutte le fasi della vita, lui che non è nato è tutto e nulla insieme, neonato rachitico maturo manager, inaffidabile puttana, nonnina solerte con la sporta colma di dolcezze per i suoi nipotini. E il feto può essere i nipotini, dare e ricevere le carezze della nonna. Sconfitto e vincitore all'unisono, corda tesa al diapason e insieme tragicamente calante.
E allora come bimbo invecchiato, quasi un adulto che si esprime in geroglifici, esce e s'avvia verso il medioriente dove lo assorbe un suk. Melliflui suoni, colori densi di spezie nauseanti, è a casa sua come nel reale fetore della sua ampolla dove un po' si conserva e un po' si sfa nel tedio della penombra ( si deposita nel fondo una minuta polverina che sa di morte scorata, e un po' sta sospesa, microfrequenze compiono questo miracolo, di far ondeggiare spirali di disfacimento come serpenti di fumo tra le escrescenze immonde e un po' teratologiche del feto natomorto).
Il suk lo avvolge e dona alle sue rachitiche gambe una collocazione antropologica definita: si accoda alla serie di mendicanti sciancati, riflette il suo testone sbilanciato in cristalli a goccia che fremono da candelabri anneriti, sfiocca come un presentimento dietro il velluto su cui vegliano assopite perle nere, s'impone ancora retoricamente per la terza volta in una metafora del rifrangersi mostruoso del mostro. Ma qui s'impenna e inastato come bandiera sventola nei vicoli più ciechi, coevi agli anni che dichiara, impastati di ammoniaca ( piscio di donna gravida ) e pende giù per una scala opaca. Qui piomba come una putrida matassa sul fondo di una bottega. Si specchia e non si riconosce. L'artigiano è un vecchio specchiaio. Non è stupito, dice di pazientare. Spiega la natura dello specchio al feto che non ascolta. Dice che lo specchio contiene in potenza le infinite immagini che in atto fioriranno ( rovi o rose profumate ) sopra il suo dorso di animale docile, domestico. Gli luccica un occhio glauco, e l'altro è nera pietra prosciugato. Assicura ( ma chi può dirlo, mente o si regala una gloria che non gli spetta, millanta teorie di avi principi, discendenze profetiche, anni mai compiuti in carcere a Bagdad, dove rubò l'arte sfuggendo come l'aria tra le fessure per la purezza dell'anima e del suo corpo vergine ) assicura finezze da esteta, scaltrezza da artigiano anonimo sotto il circolo dei tropici. Veloce percuote lo specchio con un sottile ago e traccia le immagini possibili che vi si specchieranno. Un lungo apprendistato in regge favolose lo sorregge, una febbrile operosità. E' quasi cieco, e l'antro è cupo, di tanto in tanto si assopisce sull'occhio spento di nera pietra, mentre l'altro lacrimoso dardeggia inutilmente nell'ombra. Un'impresa che non potrà finire, né lo specchio mai nascere, sentenzia il feto natomorto, con lente piroette sul testone enfiato. Entra una mosca e ronza, ignara messaggera di Dio, si poggia su uno sputo, stropiccia le piccole zampette.

Sergio Pes

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