mercoledì 19 dicembre 2007

Su Giullaresque ed altro: musica modale (e neo-modale) di Fausto Bottai parte prima

Noi 'occidentali', almeno a partire dall'epoca di Bach, siamo abituati a concepire le nostre 'idee' musicali quali appartenenti sostanzialmente a due configurazioni modali, il modo maggiore e il modo minore. (Breve parentesi: i 'moderni' che hanno tentato di sovvertire i principi del tonalismo, da questo punto di vista, hanno addirittura semplificato le cose: al posto di due, un solo modo caratterizzato dall'uso dell'intera gamma delle note cromatiche che formano l'ottava.) Quindi, se ci imbattiamo in un brano che ha per tonica la nota RE, ci viene spontaneo dare un'occhiata sul pentagramma per controllare se in chiave ci sono segnati due diesis o un bemolle. In fondo, l'informazione relativa alla tonica serve più a determinare l'altezza delle note (cioè la 'tonalità') che la configurazione modale del brano. Gli antichi ragionavano in un maniera un po' diversa: avendo di fronte una gamma di possibili configurazioni modali molto più ampia, il primo compito era quello di definire con certezza il modo in cui era stato composto il brano (ricordo che a partire da ogni nota della scala di DO era possibile costruire una differente struttura modale: dal DO, corrispondente al nostro maggiore, il c.d. modo ionico, dal RE, il dorico, dal MI, il frigio e così via..). Per cui la 'tonica RE' era spontaneamente associata al modo dorico; l'eolico, a partire dalla nota LA, corrispondeva al nostro minore. Bisognava familiarizzarsi con una certa relativa ambiguità lessicale: nel definire un modo eolico con tonica RE, era necessario comprendere due informazioni diverse 1) che si trattava del modo eolico, quello convenzionalmente associato alla scala di LA 2) che nel caso specifico si trattava dello stesso modo trasposto alla quinta superiore. Un ragionamento apparentemente involuto, ma l'unico che consentisse di non confondere eolico e dorico e di andare avanti tranquilli.. Le cose si complicano ulteriormente quando, come nel caso di Giullaresque, si mettono in campo altre strutture modali, diverse da quelle 'tradizionali', cui accennavo poc'anzi... Ma prima di tutto, perché andare in cerca di queste 'avventure' neo-modali?
Piccola digressione: come si sa, il richiamo ad elementi culturali arcaici (o esotici) rappresenta una costante nella storia della musica contemporanea (ma potremmo dire moderna, procedendo a ritroso, almeno fino all'epoca in cui il sistema armonico tradizionale entrava in crisi e nasceva, o rinasceva, l'interesse per tutte quelle forme musicali che mal si adattavano ad essere irreggimentate nelle strutture tipiche del tonalismo). Elemento fondamentale della musica popolare, infatti, è la sua estraneità, il suo 'essere altro' rispetto alla musica colta e alla sua storia (soprattutto se prendiamo come riferimento in modo specifico il periodo classico sette-ottocentesco). In parte, infatti, le strutture scalari e modali della musica popolare europea rimandano all'antico modalismo greco-ecclesiastico, in parte a strutture autonome che non hanno riscontri nella musica colta. In ogni caso, che si tratti del principio modale greco-ecclesiastico o di quel che ne è sopravvissuto nelle sedimentazioni del canto popolare o di qualunque altro fattore, sta di fatto che il c.d. 'uso del popolare' ha agito potentemente, nel dissolvimento della sensibilità tonale, verso una "reintepretazione dei fondamenti del linguaggio musicale" nel corso del XIX e soprattutto del XX secolo. Centrale, in questo contesto, è l'analisi delle modalità con cui tanti compositori e/o musicologi si dedicano, nell'ambito delle loro ricerche sul canto popolare, alle 'armonizzazioni' dei brani che vengono raccogliendo e catalogando. Si tratta, a parte i brani di impianto squisitamente 'maggiore', di operazioni dove le successioni accordali funzionali tipiche dell'armonia tonale 'classica' non sono praticabili, neanche con tutte le eccezioni che il tonalismo pure prevede per il modo minore. Inevitabile conseguenza di una situazione in cui si sovrappongono linguaggi che obbediscono a leggi differenti e che cercano una difficile convivenza. Nell'ambito della musica celtica, per esempio, è facile individuare la permanenza di strutture modali arcaiche (dorico, eolico, ma anche misolidio), in cui l'uso dell'alterazione ascendente del settimo grado rappresenterebbe con ogni evidenza un tradimento del carattere rigorosamente diatonico del modo: in questi casi l'accordo sul quinto grado, che sarebbe minore, viene per lo più sostituito dall'accordo maggiore sul settimo. E si tratta, per usare un linguaggio tipico dell'analisi dei sistemi post-tonali, di un 'aggregato che ha un effetto di stabilità' pur non appartenendo alla successione canonica dominante-tonica. Ma l'uso abituale di queste successioni non canoniche, accompagnato spesso da andamenti melodici tonalmente ambigui e contraddittori, magari caratterizzati da passaggi di tonalità non determinati da vere e proprie modulazioni, etc. etc. tutto questo in definitiva rimette in discussione dalle fondamenta l'intera impalcatura del sistema tonale.

(..segue..)


Fausto Bottai

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